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Quando il Business supera la ragione: la triste storia di Donnarumma e Mino Raiola

Si è concluso tutto con uno schiaffo a mano aperta da parte del portiere ed il suo entourage nei confronti del Milan: Gigio Donnarumma non rinnova.

Per iniziare a raccontare questa storia, vorremmo partire con un immagine:

Esatto, il giovanissimo portiere, Gianluigi Donnarumma, bacia appassionatamente la maglia del Milan, di fronte a migliaia di tifosi in delirio.

In questo preciso istante si convincono tutti che questo ragazzone difenderà i colori rossoneri ancora per molti anni, sarà il più forte del mondo, senza rivali, l’erede di quel mostro sacro di Buffon in nazionale, nato e cresciuto in casa, ci sono tutti i presupposti per sognare.

Si può sognare, sì, anche perché la campagna acquisti 2017-2018 si è aperta col botto per il Milan, 4 colpi di primo piano messi a disposizione di Montella, con la promessa di continuare a rinforzare la squadra.

Ed in porta? “In porta siamo sistemati per i prossimi vent’anni!”

Questa sarebbe stata la risposta di un dirigente, di un tifoso, di un qualsiasi passante per il centro di Milano, fino a qualche mese fa.

È qui che ha inizio la storia triste.

Gianluigi Donnarumma è un bambino quando scende per la prima volta in campo, da titolare, a San Siro: un predestinato, è il portiere del Milan, inamovibile, a 16 anni. Stupisce tutti con le sue doti tecniche, con una personalità da campione, gioca con l’esperienza di un trentenne navigato, il mondo del calcio spalanca gli occhi ed i tifosi rossoneri si sfregano le mani.

Tutto perfetto, o quasi.

C’è un piccolo grande aspetto da non sottovalutare: il nome del suo agente.

Il procuratore di Donnarumma è Mino Raiola.

Basterebbe questa frase per spiegare ciò che è successo e ciò che succederà, ma scenderemo comunque nel dettaglio.

Abbiamo già parlato più volte del businessman Mino Raiola, uno che ha gli affari mischiati con il sangue, un uomo che si è fatto da solo, partendo da una pizzeria nei sobborghi di Amsterdam, arrivando a costruire un regno, o meglio, un impero, insidiando le fondamenta di uno sport, di un gioco, letteralmente ai suoi piedi.

Si dibatte moltissimo sul cambiamento epocale del calcio in questi ultimi anni, un calcio in mano alle televisioni e, soprattutto, in mano ad i procuratori.

Sono gli agenti dei calciatori a dettare legge, tengono le redini del mercato, stringono al collo le società che non sono più libere di trattare direttamente, neppure con i propri dipendenti.

I procuratori decidono tutto: i termini dei contratti, stipulano le clausole, obbligano le squadre a cedere i giocatori scontenti, manovrano i diritti d’immagine, insomma, dettano legge.

Due su tutti: Jorge Mendes e Mino Raiola, sono i due dittatori del calciomercato, i due burattinai di un mondo che si muove a seconda dei loro interessi.

Il business dei procuratori è un solido dato di fatto, si arricchiscono, molto spesso, più dei loro stessi assistiti, costruiscono e smontano squadre, accumulando patrimoni.

Dopo quest’indispensabile digressione, possiamo continuare con la narrazione: Donnarumma, si ritrova a dover firmare il primo contratto della sua carriera, il Milan gli propone uno stipendio da sogno e la fascia da capitano per i secoli a venire e lui rifiuta

Perché? Che cosa c’è dietro? “Fece per viltade il gran rifiuto”, come affermò Dante parlando del Papa Celestino V, o non dipende da lui?

Ecco il perché: Mino Raiola vuole di più, Mino Raiola vuole sempre di più, non si accontenta mai, mai.

L’agente ha cercato di condurre la trattativa legando ai piedi del Milan, grosse catene con enormi palle di piombo; la questione calda, la clausola di rescissione.

Raiola vorrebbe inserire una postilla sul contratto che stabilisce che, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi (qualificazione alla prossima Champions League), la stagione successiva i rossoneri dovranno lasciar partire Donnarumma per una cifra irrisoria.

Così irrisoria che neppure gli esperti hanno voluto pronunciarla, impensabile per una squadra che fa del suo giovane portiere, la più grossa fetta del patrimonio societario.

Nato e cresciuto nelle giovanili, coccolato, valorizzato, esaltato, deve andarsene per due spiccioli, in un mercato in cui, uno come lui, vale ora quanto pesa: impossibile per il Milan.

Allora ecco lo scontro, un impatto rumoroso ed ingestibile, un’implosione assordante: all’ultimo incontro Raiola si alza e se ne va, giustificando il rifiuto del suo assistito con ‘questioni di principio’.

Le famose questioni di principio sarebbero riferite ad un fatto curioso, quanto meno nell’interpretazione da parte del re dei procuratori.

Il direttore sportivo rossonero Mirabelli, ha chiamato direttamente il giovane portiere per convincerlo del grande progetto del Milan, per invitarlo a non lasciare la sua squadra del cuore, che lo aveva amato, cullato e consacrato: la classica telefonata di un dirigente ad un suo calciatore.

Che cosa c’è di strano? Il calcio è sempre stato così!

Adesso non più.

Mino Raiola si è fortemente irritato perché un suo calciatore è stato contattato direttamente senza prima passare dal suo agente, che sarebbe come se il vostro datore di lavoro, per convincervi a rimanere nell’azienda, non potesse chiamarvi senza avvertire prima il sindacato!

Una vera e propria assurdità: le società non sono più libere nemmeno di telefonare ai propri dipendenti.

Ma in tutto questo, Gianluigi Donnarumma, che cosa pensa?

Non è dato saperlo.

Un ragazzino di 18 anni a cui è stato proposto un contratto di 5 milioni di euro a stagione per giocare nella squadra che ha sognato fin da bambino, si è chiuso in un silenzio obbligato, tenuto come ostaggio in una gabbia che sarà d’oro, muto, immobile, si limita a farsi gestire e rappresentare.

Ma lui, veramente, che cosa vuole?

Vorrebbe continuare ad indossare la maglia che ha baciato? Vorrebbe continuare quel sogno ad occhi aperti di difendere i pali della sua squadra del cuore, in quello stadio che bramava gremito, ai suoi piedi, ogni sera prima di addormentarsi?

Oppure è d’accordo col suo procuratore, pronto a farsi ricoprire d’oro a Parigi, dagli sceicchi, con autisti privati e stanze degne del Re Sole?

Oppure è pronto ad andare al Real Madrid?

Certo, il desiderio di ogni bambino, anche quello, ma mai, mai così importante come la squadra che tifi da quando hai aperto gli occhi per la prima volta, nell’incubatrice.

E allora ci sentiamo di affermare che le favole non esistono più, neppure nel calcio, un gioco smontato pezzo per pezzo da personaggi che l’hanno trasformato in un vero e propio business.

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