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“Quel dna…”. Colpo di scena su Garlasco, la scoperta che cambia tutto: non se n’erano mai accorti. Cosa hanno scoperto

La vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco, a distanza di diciotto anni, continua a riservare sorprese con l’emergere di nuovi elementi che riaprono interrogativi sul caso. Tra questi, un profilo genetico finora mai inserito negli atti ufficiali, ma citato da alcune testate giornalistiche all’indomani del delitto.

La giornalista Rita Cavallaro, che segue da tempo l’evolversi dell’inchiesta, ha riportato la presenza di un cosiddetto “Dna fantasma”, estratto da tracce di sudore rinvenute su impronte insanguinate lasciate dall’aggressore sul pigiama della vittima. Questo elemento, benché documentato da reportage nazionali e locali nel settembre 2007, è scomparso dal dibattito ufficiale e dai documenti processuali.

Dna fantasma nel delitto di Garlasco: il profilo mai ufficialmente confermato

Secondo fonti dell’epoca, il Dna sarebbe stato isolato dal sudore presente in miscela con il sangue su una delle impronte lasciate dall’assassino. Un articolo de Il Giornale del 4 settembre 2007 riportava che «sul tessuto è rimasta impressa un’impronta mentre, mischiato alla sostanza ematica, c’era il sudore del killer, che è stato possibile isolare, risalendo al suo Dna».

Nonostante queste notizie, il profilo genetico non è mai stato inserito nella documentazione ufficiale del processo né nella relazione dattiloscopica del Ris. Questa doppia assenza ha recentemente riacceso il dibattito, soprattutto alla luce delle rivelazioni emerse durante la nuova inchiesta. Rita Cavallaro evidenzia come l’impronta palmare insanguinata, definita “palmare 33” e oggi attribuita ad Andrea Sempio, fosse considerata all’epoca «la firma dell’assassino». Tale impronta è documentata da una fotografia del 2014 conservata dal sostituto procuratore generale di Milano Laura Barbaini e presentata in sede di Appello bis che ha condannato Alberto Stasi.

Tuttavia, la relazione ufficiale dei Ris non riporta questa impronta, né menziona il Dna estratto dal sudore, sollevando così dubbi sulla trasparenza e completezza delle indagini iniziali. La giornalista si interroga su come fosse possibile che la stampa dell’epoca avesse accesso a informazioni non ufficiali, suggerendo che qualcuno avrebbe potuto trapelare dati riservati alla stampa. Questi elementi mantengono aperto il caso e contribuiscono a una rilettura critica di uno dei processi più discussi degli ultimi decenni, sottolineando come ogni nuovo dettaglio possa influenzare l’interpretazione complessiva dei fatti.

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