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Si può morire ed essere riportati in vita, è successo a un 18enne italiano

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  • Luigi 

Quando ha riaperto gli occhi, dopo giorni in terapia intensiva, la prima cosa che ha chiesto a sua madre è stata: «Ho vinto una medaglia? Ci tenevo tanto». Un dettaglio che dice tutto di Jiri Marzi, 18 anni, di Griante, paesino di 600 abitanti affacciato sul Lago di Como. Un ragazzo che sognava di diventare pianista, che ora sorride e ammette: «Magari farò il medico. Quello che mi è successo ti cambia dentro». E come potrebbe non farlo, dopo aver letteralmente attraversato la morte.

La sua storia inizia il 27 settembre, alla partenza della Marathon Trail Lago di Como: 42 chilometri e 2.400 metri di dislivello tra boschi e creste di montagna. Jiri è giovane, allenato, preparato. Con il pettorale numero 7 e qualche barretta nello zaino, sfida il meteo avverso senza immaginare l’incubo che lo aspetta.

A causa delle condizioni proibitive, il tracciato della gara era stato modificato. Ma Jiri non se ne accorge: tira dritto dove non dovrebbe, si ritrova fuori percorso, solo. Nel frattempo la temperatura cala, la neve inizia a scendere, gli indumenti bagnati gli gelano addosso. Il glucosio scende, le dita non rispondono più. «Non riuscivo neanche a prendere il cellulare», racconta. Le forze lo abbandonano. E poi, il buio.

Alle 18.10 i vigili del fuoco lo trovano disteso nella neve tra Sasso Bellora e il Monte Bregagno, a quasi duemila metri di quota. È in ipotermia profonda, a 21 gradi. «Il cuore era fermo, i polmoni anche, il sangue non circolava più», spiega il professor Ferdinando Luca Lorini, direttore dell’Emergenza-Urgenza del Papa Giovanni di Bergamo. «Jiri è stato riportato alla vita. Sembra sensazionalismo, ma è esattamente così».

Alle 18.40 l’elisoccorso decolla con Jiri a bordo. Ventuno minuti dopo — il tempo diventa un numero simbolico in questa storia — atterra a Bergamo. Qui, in appena 17 minuti, i medici lo collegano all’Ecmo, la macchina cuore-polmone che riattiva la circolazione e dà agli organi una seconda possibilità. In quell’istante la sua temperatura è risalita a 25 gradi.

Da lì è iniziato un lavoro lento e delicato: riportarlo progressivamente a 33 gradi nell’arco di 24 ore, monitorare ogni minimo segnale di risposta, sperare che il cervello reggesse. «Quando gli stringevamo la mano, cercavamo un movimento. Un battito di ciglia. Qualunque cosa», racconta il primario.

Dopo sei giorni Jiri viene staccato dall’Ecmo. Resta nove giorni in terapia intensiva, poi un mese e mezzo tra ospedale e riabilitazione. E la sua prima frase al risveglio resterà per sempre impressa nella memoria della madre e dei medici.

Oggi Jiri sorride, racconta, sogna di nuovo. E mentre si allena a vivere una vita cambiata, tutto intorno a lui c’è chi parla di miracolo. Un ragazzo che ha guardato il gelo negli occhi e che, contro ogni previsione, è tornato indietro. Con una domanda semplice, quasi infantile, che racchiude la sua forza più grande: quella di chi non ha mai smesso di correre.

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