Il 44 per cento delle persone entrate nel mondo del lavoro dopo il ’95 ha avuto un salario inferiore ai 12 mila euro lordi per tre anni su dieci, un altro 20 per cento ha trascorso sei anni su dieci in questa stessa condizione. Solo il 36 per cento di chi è entrato nel mondo del lavoro da vent’anni ha una storia contributiva piena. Una bomba pronta e esplodere in Italia di qui a breve, mentre il governo si trova ancora a gestire un reddito di cittadinanza di difficile attuazione e una riforma pensionistica ancora da definire.
Sono questi i dati emersi da uno studio del ricercatore della Sapienza Michele Raitano e pubblicata nel Rapporto sullo Stato Sociale, citato da L’Espresso che ha esaminato i risultati dell’indagine e citato casi come quelli di una signora di 72 ammi di Novate Milanese, nel nord Italia, costretta ancora a lavorare perché a causa di un periodo di stop dal lavoro in cui si è dedicato alla famiglia non può ora andare in pensione e rischia il licenziamento per problemi di salute. 
Un problema sollevato per la prima volta dagli assistenti di volo Alitalia nel 2010, che avevano lavorato con contratti part time “ciclico verticale” che prevedevano alcuni mesi di pausa. L’Inps continua a non sanare la questione perché è compito del governo prendere provvedimenti. Nella scorsa legislatura erano stati presentati in Finanziaria 2018 due emendamenti, uno da parte del Pd, l’altro del Movimento 5 Stelle, ma il governo Gentiloni non aveva consentito il voto. Stavolta Lega e 5 Stelle si sono impegnati a trovare le risorse per risolvere il problema, ma nella manovra di quest’anno non se ne fa cenno.“Una manovra maschilista”: l’affondo dell’Inps contro il governo, stroncatura senza pietà