Una vera e propria emigrazione, cifre alla mano. Che all’Italia fa male, e parecchio. Il numero di laureati in fuga dal Bel Paese, infatti, continua a crescere anno dopo anno. 28 mila alla fine del 2017, il 4% in più rispetto al 2016. I dati del 2018 non sono ancora disponibili, ma l’Istat ha evidenziato con grande preoccupazione il trend in costante crescita all’interno del suo report sulla mobilità interna e sulle migrazioni internazionali della popolazione residente.
I problemi sono i soliti: il mercato del lavoro italiano non assorbe i laureati, i lavoratori sono costretti a svolgere mansioni inferiori alle loro aspettative una volta terminati gli studi, non riuscendo a proseguire il percorso che sognavano. E allora ecco le 65mila immatricolazioni in meno tra il 2000 e il 2015, dato che ci vede all’ultimo posto come numero di laureati tra i 30 e 34 anni: 23,9% rispetto alla media Ue del 38%.
E ancora, la fotografia della situazione italiana si completa con il dato del 25% dei manager d’impresa con la laurea in tasca, contro una media europea del 54%. E con quello che indica come nel nostro Paese i ricercatori siano due volte meno che in Francia e Regno Unito, tre volte meno rispetto alla Germania, nove volte meno rispetto al Giappone, tredici volte meno degli Stati Uniti d’America. Calcola alla mano, la fuga di cervelli costa all’Italia 42,8 miliardi di investimenti privati in capitale umano. Cui si aggiungono circa 15 miliardi ogni anno di investimenti pubblici regalati ai Paesi in cui i nostri giovani cervelli vanno a lavorare.Io sto con Salvini: Grillo si schiera con la Lega sull’immigrazione e spiazza tutti