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Bufale, ecco perché spesso abbocchiamo: creare e diffondere balle deriva dalla nostra storia evolutiva

Siamo esseri a razionalità limitata proiettati in un universo di informazioni incontrollate, cosicchè credere alle bufale ci viene naturale. Paolo Legrenzi, psicologo dell’università di Venezia, durante l’11esima edizione del convegno Unistem a Milano, ha cercato di spiegare perché il nostro cervello è attratto dalle bufale: “Creiamo, assorbiamo e diffondiamo balle con una naturalezza che deriva dalla nostra storia evolutiva” – ha spiegato il professore di psicologia cognitiva dell’università Ca’ Foscari di Venezia. Un’era la nostra dove le bufale sono all’ordine del giorno, il professore Legrezi ha tentato di dare un perché a questo fenomeno è così diffuso nell’era digitale, e quali saranno le conseguenze se non se ne affronta il problema.

I motivi
“L’uomo non è razionale, ma è piuttosto un animale sociale. Questo è il segreto del suo successo nell’evoluzione, ma nel giro di pochi anni, da animale sociale l’uomo si è trasformato in social”- ha sostenuto lo psicologo Paolo Legrenzi, da un articolo di Repubblica. Dunque secondo il professore, è proprio a causa di questa mancanza di razionalità nel nostro cervello che siamo diventati pigri, circondati da un sistema di credenze sul mondo e dal quale restiamo lì inerti da secoli. Una contrapposizione rispetto alla scienza, che per natura funziona rimettendosi sempre in discussione. Negli ultimi 200mila anni abbiamo vissuto prendendo decisioni rapide, affidandoci ai nostri sensi, cercando piaceri immediati per la necessità di sopravvivere. Poi, all’improvviso, da una decina d’anni abbiamo iniziato a interagire in modo massiccio con una nuova protesi tecnologica: la rete. Il nostro cervello non poteva avere il tempo di adattarsi. Continuiamo a ragionare, pensare ed emozionarci seguendo schemi antichi dell’inerzia, della pigrizia, del pensare il meno possibile, del cercare l’emozione e il piacere immediati, che spesso ci portano fuori strada”. In definitiva secondo Legrezi, il nostro cervello per come si è evoluto, è inadatto alla scienza.
La spiegazione del Professore è proseguita addentrandosi nei motivi per cui credere alle bufale da piacere al cervello umano. In questo caso è stato preso d’esempio la credenza che la terra sia piatta anche essendo pienamente consapevoli dell’opposto: “Perché ci solletica il desiderio di crearci una visione del mondo che sia solo nostra, non subalterna, non sottoposta a un’autorità, da condividere in un gruppo, non faticosa perché non impone di studiare, capace di farci sentire ribelli, autonomi, liberi e vivi. Tutto questo ovviamente avviene in modo inconsapevole”.

Le conseguenze
“Ci sono tre possibilità. Un atteggiamento darwiniano, secondo cui poveri e ignoranti sono responsabili del loro destino e gli individui razionali avranno la meglio come in un processo di selezione naturale. E’ quello che vediamo ad esempio negli Stati Uniti, dove un presidente come Trump non fa nulla per contrastare cicale e fake news. Anzi, liscia il pelo ai ribelli irrazionali e diffonde balle sull’inconsistenza del cambiamento climatico. Peccato che poi negli Usa si concentrino le quattro aziende che, con un fatturato pari alla quarta borsa mondiale, rappresentano un modello di élite quasi orwelliano. Penso a Google, Microsoft, Amazon e Facebook. Quando è uscito fuori che i nostri dati sulla privacy venivano venduti, i cittadini si sono arrabbiati. E’ stupefacente: si illudevano che fosse altrimenti?”
“Un cittadino cinese non si sarebbe mai stupito. E’ il modello paternalistico: grazie a uno stato forte l’élite impone quello che lei ritiene il bene e il giusto. Poi c’è una via intermedia, quella che il Nobel per l’economia Richard Thaler ha sintetizzato con la parola “nudge”: spinta gentile. Lo stato non impone nulla, ma sfrutta la pigrizia mentale dei cittadini e, attraverso una serie di disposizioni ben architettate, fa sì che senza pensarci troppo la maggioranza scelga di vaccinarsi, di non ingrassare troppo, di mettere da parte dei soldi per la pensione. E’ la situazione di molte democrazie occidentali”.

 

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