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L’Italia aveva già i respiratori per gli ospedali, ma se n’è accorta tardi

Una corsa disperata, quella alla ricerca di attrezzature per aiutare i medici impegnati ogni giorno nella difficilissima battaglia contro il coronavirus. Con l’Italia che, nel corso dei primi giorni marzo, si è rivolta a un’azienda del nostro Paese, la Siare Engineering, che produce ventilatori polmonari, i macchinari necessari per ampliare le terapie intensive e curare i malati più gravi. Il tutto circa un mese dopo il decreto che proclamava lo stato di emergenza, con il mandato alla protezione civile di coordinare i lavori e panificare gli interventi per limitare il contagio.

Come spiega Il Fatto Quotidiano, però, l’Italia si è accorta tardi delle risorse che già esistevano sul proprio territorio. Tornando indietro nel tempo, il 2 marzo la società statale Consip veniva indicata “soggetto attuatore” per gli acquisti per fronteggiare il Covid-19; il 4 marzo la protezione civile comunicava poi il fabbisogno ospedaliero. Consip aveva individuato in poche ore la Siare Engineering con sede a Valsamoggia in provincia di Bologna, azienda con una trentina di dipendenti che vende all’estero il 90 per cento della propria produzione e normalmente non supera i 40 respiratori alla settimana. Il premier Giuseppe Conte avrebbe poi telefonato al direttore generale di Siare Engineering Gianluca Preziosa per chiedergli uno sforzo da almeno 2 mila ventilatori polmonari, dopo che per un mese nessuno lo aveva interpellato al telefono. Né la protezione civile, né il ministero della Salute. Proposta accettata da Preziosa, con il ministero della Difesa che manda nei capannoni di Valsamoggia i militari dell’esercito mentre il gruppo Fca e la Ferrari forniscono del materiale.Il tutto mentre il mercato asiatico aumentava le commesse per far fronte all’emergenza. Con Preziosa rammaricato: “Si poteva fare meglio con un po’ di anticipo. Dopo il contatto con Conte ho subito bloccato i respiratori già imballati nei cartoni per partire verso l’Asia, così ne abbiamo recuperati più di trecento per gli ospedali italiani. Ho vuotato il magazzino. Adesso dal Sudamerica mi domandano 3.500 pezzi, ma ho rifiutato perché la mia fabbrica è a totale disposizione del governo”. Una situazione che poteva probabilmente essere gestita diversamente, con più anticipo, prima che gli italiani iniziassero a morire a centinaia ogni giorno.

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