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A 102 anni Lina ha sconfitto il coronavirus: “Una storia di speranza in mezzo alla tempesta”

Nemmeno il coronavirus è riuscito a piegare la voglia di vita di Lina, 103 anni, sopravvissuta a due Guerre Mondiali e ora anche alla malattia che sta mettendo in ginocchio il mondo intero. La donna, originaria di Genova, è stata protagonista in queste ore di una storia che ha commosso l’Italia. Come racconta il Secolo XIX, era stata ricoverata all’ospedale San Martino per alcuni giorni dopo essersi sentita male nella casa di riposo dove viveva. Uno scompenso cardiaco, difficoltà a respirare. Elementi che hanno spinto i medici a sottoporla a un tampone che ha infine dato esito positivo.

“Avevamo poche speranze, il coronavirus sugli anziani picchia più duro, ma non abbiamo fatto i conti con la tempra della signora Lina” ha spiegato Vera Sicbaldi, uno dei medici che si è preso cura di lei. Tuttavia, “è guarita senza bisogno delle terapie Covid-19. Quasi non ce lo spieghiamo nemmeno noi. La sua storia è stata un soffio di speranza dentro la tempesta che stiamo vivendo” ha aggiunto Raffaele De Palma, responsabile di Medicina e immunologia clinica dell’ospedale San Martino di Genova.Lina è stata subito ribattezzata “Highlander”, ovvero “Immortale” da medici e infermieri che l’hanno conosciuta. “Avevamo proprio bisogno di una iniezione di fiducia” ha detto ancora la dottoressa. Per altro, tra una terapia e l’altra, pare che l’anziana abbia rivelato dettagli di una vita che sembra un film: la separazione dal marito in giovane età, un figlio trasferito negli Stati Uniti con una brillante carriera nello spettacolo, l’amore per i viaggi. A farle forza il nipote, capace di strapparle sorrisi con dei semplici messaggi. “Non so se ha capito sino in fondo cosa le è capitato e quale brutta malattia è riuscita a sconfiggere – ha concluso la dottoressa Sicbaldi – Leggeva riviste e si teneva informata ma ho avuto l’impressione che di questa emergenza non avesse piena consapevolezza. Per noi però è stata un’iniezione di fiducia di cui avevamo proprio bisogno: nei volti dei pazienti rivediamo i nostri nonni o i nostri genitori, quando le cose vanno male è pesante anche per noi”.

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