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Andrea Napolitano si è suicidato in carcere: uccise dandole fuoco Ylenia Lombardo

Il 40enne Andrea Napolitano, condannato all’ergastolo per il femminicidio della sua compagna Ylenia Lombardo, è morto suicida nel carcere di Poggioreale. Questo drammatico evento riporta all’attenzione la questione del trattamento dei detenuti con problemi di salute mentale nelle carceri italiane.
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Ylenia Lombardo, 33 anni, di San Paolo Belsito, in provincia di Napoli, fu brutalmente uccisa, con calci e pugni, dal suo ex compagno nel 2021. Napolitano diede poi fuoco al corpo. Ylenia si trovava in quel monento nella casa in cui i due avevano convissuto prima di lasciarsi. Prima del tragico evento, aveva espresso preoccupazione alla madre, dicendo: “Faccio la fine della moglie di Parolisi”. Queste parole ora risuonano con una tragica risonanza alla luce degli eventi.
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Il garante Ciambriello: “Era seguito ed era migliorato”

Il suicidio di Napolitano ha suscitato una forte reazione da parte di Samuele Ciambriello, garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Ciambriello ha dichiarato: «Mi colpisce la grande determinazione con cui il detenuto 40enne di Poggioreale si è suicidato a metà mattinata oggi. Era a rischio suicidario da un anno, era seguito e monitorato. Chi cura i malati mentali liberi o persone con sofferenza psichica? Il Dipartimento di Salute Mentale. Bene! Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) è formato da psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione psichiatrica, educatori, oss. Dunque per curare la malattia mentale non occorre solo lo psichiatra, motivo per il quale anche in carcere, per curare i malati mentali occorrono queste figure professionali, dunque una U.O.S.D. (Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Salute Mentale). Così come esiste un SerD Area Penale, che è uguale ad un SerD esterno, deve esistere una Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Salute Mentale in carcere».
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Ciambriello ha poi concluso: «Sono tante le motivazioni per cui singoli detenuti scelgono di suicidarsi, è chiaro che il coinvolgimento in attività trattamentali interne, più rapporti con il mondo esterno, più personale specializzato, può ridurre sia le forme di autolesionismo sia i tentativi di suicidio che sono centinaia nella nostra Regione. Lo scorso anno non c’è stato appunto una strage per il pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria, a cui va la mia gratitudine. Ma ripeto, Andrea pur ben seguito da un anno, visto che era nel protocollo di rischio suicidario, ci costringe a mettere in campo qualche proposta operativa in termini di personale specializzato, attività trattamentali e relazioni con il mondo esterno, perché i suicidi in carcere sono anche il prodotto di un clima culturale, per la maggioranza della politica e anche della società civile, per cui il carcere è un posto esterno alla società, da dimenticare, non da cambiare».