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Braccianti “al volo”: charter porta 124 stranieri specializzati nei campi italiani

E’ atterrato a Pescara alle 18 di ieri, il primo charter espresso dal Marocco con a bordo 124 operatori agricoli dal Marocco. Siamo in Abruzzo, nella zona del Fucino, dove un intero distretto agricolo è andato sofferenza per il mancato arrivo dei braccianti stagionali provenienti da paesi extracomunitari, che qui garantiscono la mano d’opera specializzata nella stagione della raccolta, a causa dell’epidemia di coronavirus che ha fermato i flussi di lavoratori regolari in arrivo. Sono ormai almeno tre decenni nel Fucino, dove l’agricoltura è caratterizzata dalla coltivazione di spinaci, patate e finocchi da parte di aziende di piccole e medie dimensioni, va avanti con l’apporto fondamentale dei lavoratori stagionali, in particolare dal Marocco. Il volo con a bordo i braccianti esteri, è stato organizzato da Confagricoltura Abruzzo, è stato il frutto del lavoro diplomatico di Confagricoltura, in particolare con le Ambasciate in Marocco e in India, che ha coinvolto anche la Farnesina e l’ICE. Si tratta di istituzioni con le quali la più importante Organizzazione datoriale agricola italiana ha relazioni consolidate nel corso degli anni. Nei prossimi giorni sono previsti altri arrivi in Italia: un altro volo arriverà domani, con altrettanti lavoratori, e un terzo è programmato per i prossimi giorni, sempre con partenza da Casablanca.

Il primo “corridoio verde” italiano. Una via protetta per riportare qui i lavoratori stranieri dei campi che hanno ripopolato le campagne da cui gli italiani, inseguendo sogni urbani e un mestiere meno duro, non hanno più voglia di fare. Sono braccia, sono soprattutto schiene. “La mia mi fa sempre un male cane. Raccogli, e ti spacchi la schiena. Sono diventato trattorista, e tutto il giorno sbatti sul sedile e ti spacchi la schiena lo stesso”, ha raccontato a Repubblica Mounam Benkirrou, 34 anni, papà di due figlie bloccate in Marocco per la chiusura dei voli: “La grande va in seconda media, ma a gennaio a stagione finita siamo tornati in Marocco e rischia di perdere l’anno”.
La maggior parte dei lavoratori scesi non era la prima volta che veniva a lavorare qua, tanto da diventare nel tempo una parte essenziale del tessuto produttivo. “Sono trent’anni che vengo qua. Lavoro tutti i giorni per 1000/1200 euro al mese nella raccolta degli spinaci, ormai è la mia seconda casa”, racconta uno di loro. C’è chi torna anche da meno tempo, ma conoscono tutti perfettamente il lavoro che stanno andando a svolgere. Un lavoro stagionale i cui flussi si sono ormai stabilizzati, con un rapporto di fiducia tra imprese e braccianti, che sanno esattamente a chi affidarsi.
Quando gli ingressi si sono fermati a causa del lockdown hanno provato a trovare mano d’opera specializzata sul territorio, ma hanno incontrato grosse difficoltà. “Il lavoro è andato molto a rilento perché non avevo mano d’opera, solo due persone residenti in Italia – spiega Marco, un agricoltore della zona – Per la semina della patata ho dovuto far venire mia moglie ed altri parenti. Poi ai primi di maggio ho cominciato a raccogliere lo spinacio e ho avuto di nuovo problemi con la mano d’opera, ho preso diversi lavoratori ma non erano specializzati, e visto che la raccolta è per lo più meccanizzata non è stato semplice”. I duecentocinquanta braccianti agricoli sbaraccati osserveranno un periodo di quarantena, poi potranno cominciare a lavorare.

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