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Caso Marrazzo: cosa c’è dietro la condanna al carcere di 4 carabinieri

Dopo quasi dieci anni, arriva una sentenza “storica” per Piero Marrazzo, coinvolto nello scandalo trans che tutti ricordiamo. I quattro carabinieri coinvolti nella vicenda del 2009, che coinvolse da vittima l’ex presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, ripreso in un video mentre era in compagnia di una prostituta transessuale, sono stati condannati. Il Tribunale ha inflitto 10 anni a Nicola Testini e Carlo Tagliente. Per i loro altri due colleghi, Luciano Simeone e Antonio Tamburrino, stabilita la condanna a 6 anni e 6 mesi e 3 anni. Prescritte accuse per la trans Natali. Contestati, a vari titolo, concussione, rapina, violazione della legge sugli stupefacenti e ricettazione.

La procura aveva chiesto una condanna a 12 anni di carcere per Testini e Tagliente, e rispettivamente 9 e 4 anni per Simeone e Tamburrino. I fatti risalgono al luglio del 2009 quando i militari imputati entrarono nell’appartamento di Via Gradoli dove trovarono e immortalarono in un video l’allora presidente Marrazzo, in camicia e mutande, in compagnia di Natali e successivamente il video, secondo l’accusa, venne usato per ricattarlo.

Secondo la ricostruzione della procura Testini, Simeone e Tagliente minacciarono il giornalista di rivelare quanto visto in casa della trans e pretesero tre assegni per un totale di 20mila euro, in cambio del silenzio. Ci fu anche un tentativo di vendere il video, tanto che Marrazzo fu avvertito da Silvio Berlusconi dell’esistenza di immagini compromettenti che erano arrivate all’attenzione di Alfonso Signorini.

Il direttore di Chi si rese conto che si trattava di immagini non pubblicabili perché violavano la privacy, ma avvertì comunque il suo editore Marina Berlusconi. Gli imputati hanno sempre negato che il video fosse stato girato a scopo di ricatto, e anzi si sono difesi assicurando che servisse solo a documentare l’operazione di polizia.

“Piero Marrazzo ha atteso nove anni questa pronuncia che accogliamo con soddisfazione – dice l’avvocato Luca Petrucci – La sentenza riconosce in pieno la colpevolezza degli imputati che, disonorando la propria divisa, si sono resi responsabili di un ignobile sopruso e di un vile ricatto criminale”.

“Anche in questo momento da uomo delle istituzioni, da giornalista del servizio pubblico e, soprattutto, da cittadino perbene, Piero Marrazzo tiene a ribadire la propria massima considerazione nell’Arma dei carabinieri che è, insieme a lui, la vittima principale dei crimini commessi da questo manipolo di ‘mele marce'”.

 

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