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Noi ricordiamo Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978. La sua eredità

Il 9 maggio 1978 è il giorno in cui fu ucciso Peppino Impastato e ritrovato il cadavere di Aldo Moro in via Caetani, a Roma. Il ritrovamento del corpo del presidente della Democrazia cristiana, ucciso dalle Brigate rosse dopo 55 giorni di prigionia, oscurò completamente la notizia dell’omicidio di Impastato, giornalista e attivista siciliano, ucciso dalla mafia a Cinisi, cittadina a pochi chilometri da Palermo, per ordine del boss mafioso Gaetano Badalamenti.

Il giornalista siciliano, che si era candidato alle elezioni comunali con Democrazia proletaria, fu ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio e il suo cadavere fu fatto saltare con del tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, così da far sembrare che si trattasse di un fallito attentato suicida.

Peppino Impastato era nato in una famiglia mafiosa il 5 gennaio 1948, ma fin da ragazzo aveva preso le distanze dai comportamenti mafiosi del padre e e aveva provato a denunciare il potere delle cosche e il clima di omertà e di impunità a Cinisi. Per questo motivo fu cacciato di casa dal padre fin da ragazzo. Ispirato dal lavoro e dalle idee di Mauro Rostagno e di Danilo Dolci, nel 1975 Impastato fondò il circolo culturale Musica e cultura, un’associazione che promuoveva attività culturali e che diventò un importante punto di riferimento per i ragazzi del paese.

Il circolo si occupava di ambiente, di campagne contro il nucleare e di emancipazione femminile. Nel 1977 Impastato fondò Radio Aut, un’emittente autofinanziata di controinformazione. Radio Aut prendeva in giro la mafia e i politici locali. Impastato conduceva una trasmissione satirica in cui parlava della mafia in maniera dissacrante.

“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.

E ancora diceva: “La mafia uccide, il silenzio pure. Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”. Bellissime e profonde le sue parole. Il 9 maggio 1978 aveva soli trent’anni. Fu ucciso. Lui scelse la via della libertà, perché “la mafia è una montagna di merda”.

I mezzi d’informazione, le forze dell’ordine e la magistratura all’epoca della sua uccisione parlarono di un’azione terroristica in cui l’attentatore era rimasto ucciso. Solo la determinazione della madre di Peppino, Felicia, e del fratello, fece emergere la matrice mafiosa dell’omicidio, riconosciuta nel maggio del 1984 anche dall’ufficio istruzione del tribunale di Palermo. Tuttavia, nel maggio del 1992, i giudici decisero l’archiviazione del caso, pur riconoscendo la matrice mafiosa del delitto.

Nel 1994 il Centro di documentazione dedicato a Peppino Impastato presentò la richiesta di riapertura del caso, accompagnata da una petizione popolare. Nell’istanza si chiedeva di interrogare il nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla cosca mafiosa di Cinisi. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo, Badalamenti fu indicato come il mandante dell’omicidio insieme al suo braccio destro Vito Palazzolo, e l’inchiesta fu formalmente riaperta.

Nel novembre del 1997 fu emesso un ordine di arresto per Badalamenti, detenuto negli Stati Uniti. Il 5 marzo 2001 la corte d’assise di Palermo condannò Vito Palazzolo a 30 anni di carcere per l’omicidio di Giuseppe Impastato. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti fu condannato all’ergastolo per essere il mandante di quell’omicidio. Palazzolo e Badalamenti sono morti in carcere.

Non molti anni fa è stato dedicato alla storia di Peppino Impastato il film “I Cento Passi”, diretto da Marco Tullio Giordana e l’omonima canzone dei Modena City Ramblers.

 

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