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Coronavirus, una caramella come ultimo desiderio di un malato: “Non so se ha potuto mangiarla. Purtroppo è morto il giorno seguente”

Una caramella per scacciare dalla bocca il sapore amaro causato dal virus. Un desiderio che solitamente esprimono i bambini, ma in questo caso a chiederla è stato un paziente ricoverato presso l’ospedale Maggiore di Crema. L’uomo, ultraottantenne, ha chiesto al parroco del proprio paesino una caramella, per coprire il sapore amaro in bocca dovuto al virus e ai medicinali. Il parroco ha chiesto al cappellano del nosocomio di esaudire la richiesta dell’anziano: “”Gli ho portato la caramella, gli ho detto che la mandava il suo don, e quell’uomo mi ha sorriso, ha capito anche se non credo abbia potuto mangiarla. Il giorno dopo purtroppo è morto”.

“Medici e infermieri sono abituati alla morte, ma non con questa frequenza, non 100 in una settimana. Sono impressionati dal numero di decessi, ma soprattutto che i pazienti muoiano da soli”. A raccontarlo lo stesso sacerdote dell’ospedale che in queste difficili settimane ha raccolto anche gli sfoghi emotivi del personale sanitario. “Ci sono state giornate – ha proseguito il cappellano – in cui non sapevano neppure dove sistemare tutti i pazienti del pronto soccorso, come i feriti di guerra. Di Crema si parla poco, ma qui siamo a 40 chilometri da Cremona, Brescia e Bergamo e sono arrivati malati da ogni provincia, anche dal Lodigiano”.Per sostenere il personale sanitario, almeno emotivamente, sono state attivate delle linee di assistenza psicologica. Qualcuno, ha spiegato il sacerdote, cerca conforto nella chiesetta del nosocomio: “Un dottore mi ha confidato che pur non essendo molto religioso, prima del turno si trattiene in preghiera. Tanti hanno paura di infettarsi e di trasmettere il virus ai parenti a casa”. La solidarietà, anche tra colleghi, è un balsamo per l’anima: “La caposala lavora h24, ma l’altro giorno ha riunito gli infermieri per valutare insieme chi avesse bisogno di riposo e chi potesse resistere ancora”.Per dare l’estrema unzione, il cappellano può accedere ai reparti Covid-19 solo per i pazienti in fin di vita: “Il crocefisso resta sotto la tuta. Ho la mascherina, copricapo, copri scarpe e guanti. Spesso il personale sanitario si ferma per una preghiera con me: un ulteriore gesto di carità dopo aver tentato di tutto per salvare una vita. In questi momenti spicca la differenza tra la salute, che non si può dare a tutti, e la salvezza, che può dare un solo medico: Dio”.

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