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Bar e ristoranti travolti dal coronavirus: “Così falliamo, lo Stato aiuti noi e i dipendenti”

Il coronavirus ha devastato il mondo di ristoranti e bar Italiani. Ettore Livini su Repubblica ha provato a raccontare la situazione riportando alcune storie. Come quella di Ignazio Cuboni, titolare del Baia Sardinia di Milano, uno dei gioielli nascosti della gastronomia meneghina. Non può far altro che leccarsi le ferite. I conti sono semplici: “A mezzogiorno un mese fa facevo 150 coperti. Sa quanti ne ho fatti oggi? Diciotto”. Lui e i suoi colleghi dice Fipe-Confcommercio rischiano di perdere 1 miliardo in tre mesi. La Lombardia chiede addirittura la serrata totale per combattere il coronavirus: “Il fronte del fornello e del cappuccino rischia (come tanti altri pezzi d’Italia) una mezza Caporetto. Io non dormo più per il magone”, dice Cuboni. Non è difficile capire perché: “Ho tremila euro al mese di bollette tra gas e luce, poi c’è l’affitto. In questi giorni devo pagare fornitori e contributi del dipendenti”. Totale: 25 mila euro di uscite al mese.

“Mentre incasso anche meno di 200 euro al giorno”. Per ora resiste, servendo catalane di mazzancolle e carpacci di ricciola in takeaway fino alle 18. “Ma se le cose vanno avanti così per un mese non so come faremo a tenere aperto”. Il presidente di Fipe-Confcommercio spiega: “Siamo alla desertificazione I 330mila ristoranti italiani fatturano 86 miliardi e danno lavoro a 1.2 milioni di persone. Oggi molti hanno i ricavi quasi azzerati. Servono interventi urgenti e non misure tampone”. Un salvagente per il settore è allo studio del governo. Ma Caterina D’Urso, titolare di un bar del ristorante giapponese Canbaldy di Stradella, non è molto ottimista. Il balletto di disposizioni anti coronavirus è stato una via crucis per la ristorazione.

“Prima ci hanno bloccato dopo le 18. Poi ci hanno fatto riaprire, ora mettono nuovi limiti. Era meglio chiudere tutto subito e garantirci un sostegno economico”, dice. Martedì è giorno di mercato davanti al suo bar e alla cassa si battono di solito 150 euro di cappuccini, brioches e caffè. “Oggi siamo a quota 100. Ho chiesto un’estensione del fido alla banca. Ho bloccato un po’ i pagamenti. Ma è un effetto domino, per il paese sarà un danno enorme”. Bar e ristoranti – dice – “sono mucche da mungere. A cosa serve pagare le tasse se poi quando hai bisogno non hai niente indietro?”.

Il governo sembra pronto a dare l’ok al congelamento di mutui e scadenze fiscali: “Nei primi dieci giorni di crisi, i ristoranti nelle aree esposte hanno perso 212 milioni calcola Giancarlo Banchieri, numero uno Fiepet, organizzazione di settore di Confesercenti. Ma ora serve l’ok alla cassa Integrazione in deroga. I grandi chef, invece, chiedono chiarezza e regole uguali per tutti: “Meglio chiudere tutto per un periodo più limitato”, dice la lettera aperta dei Ristoratori responsabili milanesi. “Le decisioni prese finora – lamentano – favoriscono chi opera di giorno, lì per fortuna è arrivato l’ok all’uso delle cucine per la consegna a domicilio dopo le 18”.

I master chef, senza troppi giri di parole, dicono che così si rischia di causare “chiusure e licenziamenti di molti addetti”. Vale per gli stellati ma anche per le eccellenti trattorie di campagna: “Io ho chiuso per tutelare la salute dei dipendenti e tengo aperto solo il bar”, dice un titolare. Il fisco vede in tempo reale quanti scontrini battono i ristoratori ogni giorno e sa in che condizione sono ora, spiegano i ristoratori. Rinviare bollette e mutui serve a poco: “Quando riapriremo non avremo i soldi per gli arretrali. Meglio un taglio alle tasse fino a quando la crisi non sarà finita”.

 

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