Tra le tante particolarità che caratterizzano il governo gialloverde c’è sicuramente il ricorso ai tormentoni, hit da proporre e riproporre e che Lega e Cinque Stelle si dividono equamente, ognuno con le sue fissazioni personali. Sul fronte pentastellato ecco allora tornare improvvisamente di moda un vecchio cavallo di battaglia, il canone Rai. Il vicepremier Di Maio ne aveva parlato già a gennaio, quando era ancora soltanto il candidato di punta del Movimento, denunciando lo scarso spazio concessogli dalla tv pubblica: “Nei tg prima c’è Berlusconi, poi Renzi, poi i servizi su di me che mi devo dividere con le regioni”. E invitano, a metà tra il serio e il provocatorio, gli italiani all’evasione: “Non pagherei un euro per questa Rai”.
Di Maio ha poi difeso la scelta di Foa, sostenendo che non sia “legato alla Lega, perché ha una storia che viene prima della Lega” e si è detto pronto alla sfida della tv pubblica. Parole che, però, sono sembrate in netto disaccordo con quanto dichiarato in passato. Lo stesso vicepremier, infatti, meno di quattro mesi fa si augurava la nascita di una “Netflix italiana” che mettesse in ombra Mediaset e Rai, per dar vita a un tipo di televisione diversa. E mostrava un piglio decisamente diverso anche nei confronti dell’alleato leghista. Non è un caso se dall’opposizione siano arrivati pensati attacchi dopo la nomina di Foa: “Di Maio fa da cameriere ad Arcore mentre si consuma il nuovo inciucio Salvini-Berlusconi” ha affondato Martina. Il leader Cinque Stelle ha rilanciato la sua intenzione di non dare garanzie al Cavalierie, proprio per smontare simili teorie. Ma nella pancia del Movimento i primi malumori sono evidenti.Gelo e silenzio tra Di Maio e Salvini. Il retroscena: guerra fredda in corso