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Di seconda mano? Un affare da 3 miliardi di euro, l’economia del riuso

L’economia del riuso produce valore, per una filiera che impiega oltre 80.000 persone e un giro d’affari di circa 3 miliardi di euro l’anno. Sono i dati diffusi da Labelab, HUMANA People to People Italia, Utilitalia, Occhio del Riciclone ed Ecogdo durante la kermesse “Fare i conti con l’ambiente”, tenutasi a Ravenna.
Secondo le indagini condotte dall’Osservatorio Findomestic, l’Italia mostra una buona propensione all’acquisto di beni usati: un cittadino su due dichiara di aver comprato un bene di seconda mano negli ultimi sei mesi; peraltro si stima che in media ogni famiglia abbia 80 oggetti inutilizzati in cantina o nell’armadio.

Più riuso, meno rifiuti

“È un settore – ha detto Stefania Tiozzo di Humana People to People Italia, un’organizzazione umanitaria – dove solidarietà, inclusione sociale e socialità si mescolano con esigenze commerciali e peculiari dinamiche operative e gestionali. Si stima che in Italia esistano circa 50.000 operatori del riutilizzo ambulanti e oltre 3000 negozi dell’usato. Grazie al loro lavoro vengono reimmesse in circolazione tra le 350.000 e le 500.000 tonnellate ogni anno che altrimenti verrebbero conferite tra i rifiuti”.
economia del riuso - rifiuti


La sola filiera del riuso non è quindi sufficiente per gestire la mole di prodotti acquistati e dimenticati, o destinati al dimenticatoio. I rifiuti prodotti ogni anno in Italia sono infatti 30 milioni di tonnellate, per i soli rifiuti urbani, e oltre 130 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, secondo i più aggiornati dati Ispra. Secondo il network internazionale ACR+, composto da città e regioni che promuovono lo sviluppo sostenibile, i beni riutilizzabili presenti nel flusso dei rifiuti urbani prodotti dalle utenze domestiche rappresentano il 10% del totale, il che significa un enorme potenziale di ulteriore riutilizzo.
“Se il riutilizzo in Italia fosse integrato in modo sistematico nella gestione dei rifiuti, potrebbe avere uno sviluppo esponenziale”, spiega Pietro Luppi di ‘Occhio del Riciclone’. “Il settore degli indumenti usati si caratterizza per filiere già mature che hanno bisogno di essere messe in trasparenza. Il settore degli altri beni durevoli, invece, funziona quasi solo per iniziativa privata e ha dimensione soprattutto territoriale; per esprimere a pieno il proprio potenziale dovrà strutturarsi così come è stato fatto con gli indumenti”.
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“Ma perché questo possa accadere – aggiunge – serve un’iniezione di professionalità e imprenditorialità, che vanno conciliati e integrati con i progetti sociali e gli obiettivi della politica pubblica”.
Proprio di questo si è parlato a Ravenna, in un lungo workshop che ha affrontato i temi aperti della filiera: dall’affidamento dei servizi di raccolta e recupero degli indumenti usati, con le relative criticità e opportunità. A quello di un codice etico per il settore degli indumenti usati, e ancora, alla preparazione per il riutilizzo: norme, figure professionali e fabbisogni formativi. Infine, sono stati affrontati anche gli aspetti della fiscalità nell’ambito dell’economia del riuso.