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Suicidio Assistito, dopo la sentenza si apre il dibattito. I pro e i contro

Eutanasia, arriva la svolta in Italia con la storica sentenza della Corte Costituzionale. “Non è sempre punibile chi aiuta al suicidio”, i giudici hanno deciso così dopo molti giorni di udienza. Sono passate le otto di sera quando arriva la decisione della Consulta sul caso di Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni, che rischiava fino a dodici anni di carcere per aver accompagnato Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, il quarantenne milanese tetraplegico, in Svizzera a morire come chiedeva da anni dopo essersi ritrovato imprigionato nel suo corpo a causa di un incidente.

La reazione è stata immediata: “Da oggi tutti più liberi, anche quelli che non sono d’accordo”, dice Cappato. Dopo questa sentenza il parlamento dovrà in qualche modo legiferare in materia: infatti, a Cappato ha subito fatto seguito l’ondata di opposizioni cattoliche, che già hanno dichiarato che “non può esistere un diritto a morire”.

La sentenza recita: “È non punibile”, a “determinate condizioni”, chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

La corte Costituzionale doveva stabilire se fosse reato, come prevede l’articolo 580 del codice penale, aiutare ad andarsene una persona malata che non ritiene più sopportabile e dignitoso vivere. Già l’anno scorso la Consulta aveva segnalato l’incostituzionalità della norma che parificava l’istigazione al suicidio con l’aiuto.

Undici mesi fa i giudici, che avevano chiesto al parlamento di legiferare sull’eutanasia (avevano dato tempo fino al 24 settembre, senza alcun risultato), stabilendo alcuni punti fondamentali che sono stati alla base della decisione. Se da un lato era impossibile depenalizzare totalmente e genericamente l’aiuto al suicidio, la Corte aveva messo in chiaro i punti base, alcune condizioni specifiche che facevano diventare “ingiusta e irragionevole” la punizione per chi aiuta a morire.

Le condizioni sono che si tratti di un malato terminale in grado di decidere pienamente, afflitto da una patologia che gli provoca sofferenze fisiche e psichiche per lui assolutamente intollerabili. Con Marco Cappato esulta anche l’Associazione Coscioni, che da anni si batte per questo diritto.

 

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