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Facebook nella bufera: dati condivisi con i big della telefonia

Ci risiamo: Facebook è nella bufera. Il motivo? Una nuova violazione della privacy degli utenti.  Secondo quanto riportato dal New York Times, infatti, il social più famoso al mondo avrebbe stipulato, negli anni, accordi con 60 produttori di cellulari di ultima generazione, tablet e altri dispositivi mobili. In questo modo terze persone avrebbero avuto accesso ai dati personali di migliaia e migliaia di utenti e della loro cerchia di amici senza che venisse firmato un esplicito consenso all’utilizzo degli stessi. Su questo punto, però, deve essere ancora fatta chiarezza. Il colosso si è discolpato e ha replicato alle accuse dicendo che ogni azienda aveva firmato con lui  accordi ben diversi, ma soprattutto che si era preoccupata di chiedere il consenso agli utenti.
Chi sono i colpevoli? Chi ha stretto accordi con Facebook? Ad usare i dati potrebbero essere stati: Apple, Amazon, BlackBerry, ma anche Samsung e Microsoft.
Insomma non si era ancora spento il primo vespaio di polemiche che se ne è subito acceso uno nuovo. Pare che in quest’era così tecnologica e avanzata sia impossibile proteggere la propria privacy. Chiunque ha accesso a qualsiasi dato senza che i diretti interessati ne siano a conoscenza.
Dopo lo scandalo Cambridge Analitycs gli utenti hanno iniziato a prestare maggiore attenzione all’argomento, ma a quanto pare non è facile controllare qualsiasi cosa, soprattutto se non si hanno conoscenze specifiche e non si possiedono tutti gli strumenti. Quali sono i rischi maggiori? Sicuramente bisogna fare estremamente attenzione quando si accede, tramite Facebook, ad altre app. Va oltre ricordato, infine, che lo scorso 25 maggio Facebook ha aggiornato le condizioni della privacy.
Pian piano il cerchio si stringe e diventa sempre più difficile, anche grazie ai vari scandali e ai polveroni mediatici, che le aziende si possano scambiare dati senza aver ricevuto il consenso degli utenti.

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Facebook nella bufera per i dati condivisi: la risposta

Mark Zuckerberg ha una nuova grana da gestire. Si parla, però, sempre di Facebook e privacy. Da quando è scoppiata la seconda polemica sui possibili dati venduti alle aziende produttrici di dispositivi mobili. Tanti i colossi coinvolti.
L’azienda di Palo Alto ha voluto replicare immediatamente alle accuse sottolineando di aver utilizzato i dati solo per portare Facebook sui vari dispositivi e non per altri scopi. Ime Archibong, vicepresidente di Facebook, ha reso noto che tutti i costruttori coinvolti hanno firmato accordi per scopi diversi e che hanno chiesto il consenso agli utenti. E’ davvero così?
Per ribadire nuovamente la sua posizione il popolare social ha poi diffuso in comunicato stampa intitolato: “Perché non siamo d’accordo col New York Times“. Nella nota si è continuato a negare ogni possibile problema legato alle partnership e alla privacy degli utenti.
La spiegazione? Molti accordi con i vari colossi sarebbero nati quando ancora non era diffusa la app mobile e sarebbero solo serviti per diffondere il social ovunque. A quanto pare: “Questi partner hanno firmato degli accordi che impedivano l’uso di tali informazioni sugli utenti per qualsiasi altro scopo che non fosse ricreare l’esperienza Facebook”. Come se non bastasse le aziende non potevano: “Integrare le funzioni Facebook di un utente con i loro dispositivi senza il permesso da parte dello stesso”.  Insomma nessun abuso, nessuna violazione della privacy. Oltretutto 22 contratti dei 60 citati dal noto giornale sono già terminati.

Facebook nella bufera: le accuse di Sandy Parakilas                                                           

Di sicuro la questione non finirà qui. Saranno in molti a volerci veder chiaro soprattutto dopo le clamorose dichiarazioni di Sandy Parakilas al Parlamento europeo. L’ex manager operativo di Facebook ha dapprima ribadito che: “Fino al 2015, le app di Facebook potevano avere accesso non solo ai dati degli utenti che le installavano ma anche dei loro amici. In media gli utenti di Facebook hanno tra i 200 e i 300 amici, quindi parliamo di un aumento esponenziale“. L’ex manager ha poi svelato: “Il problema è che Facebook non aveva nessuna capacità di controllare questi programmatori terzi con i dati che avevano raccolto“. L’uomo ha così smentito l’azienda per cui ha lavorato e screditato le parole del vicepresidente. Non c’era alcun controllo da parte di Facebook sulle aziende con cui aveva stretto accordi. Tutto qui? Certo che no. Pare che l’odierno capo strategia del Center for Human Technolog abbia assicurato che i programmatori fossero in grado di leggere post, messaggi privati e tantissime altre informazioni dei vari utenti. Fra queste informazioni vi erano oltretutto quelle riguardanti l’orientamento religioso e politico.

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