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Fisco, arrivano gli avvisi “non ostili”. Cosa significano e come mettersi al riparo dai guai

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Una valanga di avvisi “non ostili” sono in arrivo in questi giorni ai contribuenti italiani. Li sta inviando l’Agenzia delle Entrate e già questa, nonostante la premessa, non sembrerebbe una buona notizia. Il fisco sta passando al setaccio l’anno d’imposta 2020 e avrebbe trovato molti casi – potenziali – di redditi omessi. Potenziali perché se non si dimostra di essere in regola con le somme contestate, ricevute e carte alle mano, si deve pagare.

Appunto, carte alla mano. Sapete infatti per quanti anni dovreste conservare documenti e ricevute, e non soltanto quelle fiscali, per poter contestate eventuali richieste da amministrazioni di varia tipologia? Ce lo ricorda un vademecum dell’Unionconsumatori, più che mai utile in questi giorni di posta in arrivo (e non solo su mail o pec). Intanto va detto che l’apposita sezione dell’area riservata, nel sito delle Entrate, in questo periodo è andata in tilt per il sostenuto flusso di segnalazioni arrivate. Per i soggetti interessati emergerebbero anomalie riguardo ai redditi da lavoro assimilati, autonomo e quelli derivanti da contratti di locazione non dichiarati. L’AdE informa che “si può regolarizzare la posizione presentando dichiarazione integrativa precompilata” – ma è prevista solo per alcuni contribuenti – che presenti il reddito contestato perché omesso o inserito non correttamente.

Dunque, potete dimostrare di essere in regola con i redditi di quattro anni fa? Per prima cosa dovrete scartabellare tra i vostri documenti fiscali, ricordando che ci sono dei termini di legge per conservare documenti come ricevute, multe, scontrini, fatture e bollette. Ce lo dice l’Unione nazionale consumatori (consumatori.it) che evidenzia come, in alcuni casi, “conservare è utile per evitare di pagare due volte o per scongiurare sanzioni. In altre invece è solo uno spreco di tempo e spazio”. Vediamo cosa e per quanto è bene mettere da parte (anche digitalmente, anzi meglio). E per far valere, eventualmente, la prescrizione.

Tempi più brevi. Sono quelli richiesti per conservare le ricevute di strutture turistiche: entro 6 mesi possono richiederci il pagamento di servizi che risultano non saldati. Si sale a 12-18 mesi per le ricevute di spedizioni, poi da 1 a 5 anni per le ricevute di rette e mense scolastiche, iscrizioni a corsi, palestre, assicurazioni (5 anni se sono state detratte dalla dichiarazione dei redditi). Per i tempi da 2 a 5 anni rientrano gli scontrini: meglio conservarli per almeno 2 anni “così da far valere la garanzia. 5 anni per gli scontrini che riguardano i farmaci detratti dalla dichiarazione dei redditi”, spiega Unionconsumatori. Si passa a 3 anni per le ricevute di pagamento di cambiali; parcelle di professionisti (avvocati, medici, dentisti, architetti ecc.). Inoltre, attenzione, per il bollo auto la Regione di residenza entro 3 anni può contestare il mancato pagamento (scadenza che va conteggiata dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui si è pagato).


La scadenza che ricomprende più pagamenti, e cioè i più onerosi, è quella dei 5 anni dal saldo. Che include le bollette ordinarie di luce, gas e acqua per 5 anni dalla scadenza (anche se la prescrizione è ridotta a 2 anni). Poi le spese per il condominio e i canoni di locazione. Ma soprattutto Cud e Cu e le multe: per quest’ultime, “stessa durata anche in caso di vittoria dopo aver fatto ricorso per contestare la sanzione”, ci ricorda l’associazione guidata da Massimiliano Dona. E ancora 5 anni per le tasse sui rifiuti; le ricevute di Imu, Tasi (i tempi si allungano se si è usufruito di detrazione fiscale per efficientamento energetico, ristrutturazioni edilizie ecc.). Per la dichiarazione dei redditi la relativa documentazione va conservata per 5 anni; se non si è presentata la dichiarazione, il fisco estende a 7 anni la possibilità di fare controlli. Per le cartelle esattoriali, rispetto a una imposizione dell’AdE, la conservazione dell’avvenuto pagamento varia di caso in caso. Nello specifico le ricevute di pagamento di cartelle riguardanti Irpef, Iva o Irap devono essere conservate per almeno 10 anni; la documentazione del pagamento di imposte locali si dovrà conservare per almeno 5 anni.
Anche le ricevute delle rate del mutuo vanno conservate per 5 anni dalla scadenza. Idem per la documentazione che attesti che si è beneficiari di detrazioni, deduzioni o di un qualsiasi altro sgravio fiscale. Andando sui tempi più lunghi, la prima scadenza da tenere a mente è quella degli 8 anni che riguarda proprio il fisco (per richieste come quelle che l’AdE sta inviando in questi giorni). Non gettare mai prima di 8 anni i modelli Unico e quello del 730: il fisco effettua controlli sulle dichiarazioni dei redditi fino a 7 anni, “quindi per evitare pesanti seccature è bene conservare la documentazione per almeno 8 anni. Il conteggio deve essere avviato a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di imposta”. E oltre gli 8 anni cosa c’è ancora? Per 10 anni è bene tenere gli estratti conto (di banca, posta ecc.). Mentre si dovrebbero conservare per sempre – ed è evidente il perché – gli atti notarili; i rogiti; gli atti di matrimonio/separazione/divorzio; gli attestati e/o diplomi.

Tornando alle lettere “antipatiche” dell’Agenzia delle Entrate, va rilevato che nel 2023, ultimo dato disponibile, furono inviate più di 3,2 milioni di comunicazioni di compliance (sulla conformità a determinate norme, regole o standard), per 4,2 miliardi di euro versati. Dato che segnava un incremento di un miliardo rispetto al 2022 (+31%).