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“Ci siete dentro voi”. Garlasco: le intercettazioni scioccanti delle zie di Chiara

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Le intercettazioni tra Maria Rosa Cappa e la sorella Carla, registrate il 12 febbraio 2008, gettano un’ombra pesante sull’inchiesta per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007. I dialoghi delle zie della vittima emergono mentre il pubblico ministero Rosa Muscio decide di riesaminare gli alibi di Maria Rosa e delle sue figlie, Stefania e Paola Cappa. Sebbene nessuna delle tre sia stata formalmente accusata, le conversazioni con le autorità lasciano un segno indelebile.

Maria Rosa descrive i lunghi interrogatori: «Carla! Dodici ore sono stata là… dalle 11.30 della mattina, siamo andate tutte e tre… ognuna quattro ore». Le due sorelle discutono minuziosamente gli alibi, passando in rassegna scontrini, commissioni e persino gli abiti indossati. Maria Rosa ribadisce la sua trasparenza: «Lei doveva essere sicura al cento per cento… mi ha chiesto come ero vestita la mattina, la sera, a che ora sono uscita… io non ho niente da nascondere».

Orario del Delitto: Una Questione Cruciale

Il nodo centrale del discorso riguarda l’orario della morte di Chiara. Carla esprime la sua preoccupazione: «Ma a loro fa tanto comodo spostare l’orario di quando è morta Chiara! Perché se Chiara è morta alle 9.30-10, ci siete dentro voi altri, ammesso!». Questa osservazione sottolinea le tensioni tra le diverse versioni fornite dalla famiglia Poggi e la difesa di Stasi. Carla suggerisce che una modifica dell’orario potrebbe alterare sostanzialmente le responsabilità percepite.

Maria Rosa esprime la sua ansia: «Mi sento la spada di Damocle sul collo… per questi qua», riferendosi alla strategia della difesa. Ricorda dettagli sfuggiti durante i primi interrogatori: «Non mi ricordavo neanche più che ero andata in posta, poi sono andata anche dal dottore… ho le fotocopie delle ricette… sono arrivata a casa che erano le undici e mezza passate».

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Le Confessioni di Stefania Cappa

Le intercettazioni rivelano anche lo sfogo di Stefania Cappa, gemella di Paola. Piangendo, confida a un’amica il 9 febbraio 2008: «Per me è uno schifo… sto proprio di merda… io comunque in questi mesi ho tentato un po’ di rifarmi la mia vita». Stefania racconta di essere stata convocata dalla pm Muscio, questa volta in maniera ufficiale, con un avvertimento riguardo alle false dichiarazioni.

«Quando sono entrata mi ha fatto la sua bella ramanzina… che se dichiaravo il falso, il falso sarà usato contro di me al processo», spiega Stefania, profondamente turbata al punto da esplodere in un’altra telefonata: «Le volevo dire: ma mettiti un dito nel culo! Che ora che fai il processo io sono già espatriata in America e non mi vedi neanche, deficiente!».

Gap di Memoria e Paura di Equivoci

Due aspetti emergono dalle intercettazioni: l’ansia crescente delle zie e cugine di Chiara, pur non essendo indagate, e le sfide nel ricostruire esattamente i propri movimenti mesi dopo. Stefania ammette: «Magari mi faceva delle domande e io non mi ricordavo… e allora andavo un po’ a logica, eh ma non vada a logica».

Queste parole evidenziano non solo il disagio personale, ma anche la complessità di un’indagine basata su dettagli temporali e ricordi frammentari. Un contesto che avrebbe potuto favorire teorie alternative della difesa, mirate a modificare la tempistica ufficiale per spostare le responsabilità lontano da Stasi.

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La Pressione delle Intercettazioni tra Testimonianza e Sospetto

Le conversazioni captate in quei giorni offrono uno spaccato della tensione emotiva e processuale sulla famiglia di Chiara Poggi. Nonostante non fossero mai state formalmente accusate, le zie e cugine si sentivano sotto accusa, timorose di commettere errori o di essere fraintese. Carla chiede: «Comunque non è che hai fatto delle cose che ti debba rinviare a giudizio per qualcosa?». Maria Rosa risponde: «Ma non credo proprio! Perché altrimenti lo avrebbe fatto subito dall’inizio eh…».

Questa osservazione sottolinea come, mesi dopo il delitto, il limite tra testimonianza e sospetto restasse sempre incerto, alimentando nervosismo, sfiducia e la sensazione di un’indagine ancora aperta a tutte le possibilità.

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