Vai al contenuto

Garlasco, spunta un altro Dna: e questa volta è svolta totale

Il delitto di Garlasco torna a far discutere con l’emergere di elementi che potrebbero cambiare la prospettiva consolidata. Al centro dell’attenzione vi è il ritrovamento di un DNA femminile sconosciuto sulla scena del crimine: un dettaglio che, se confermato, potrebbe rafforzare l’ipotesi di un concorso di persone nell’omicidio di Chiara Poggi e riaprire interrogativi che si pensavano ormai chiusi.

La nuova inchiesta e le polemiche

La decisione di riaprire le indagini – a fronte di una condanna definitiva per Alberto Stasi – ha diviso l’opinione pubblica. La Procura di Pavia ha iscritto nel registro degli indagati Andrea Sempio, accusato di concorso in omicidio. Una mossa che molti osservatori giudicano controversa: per i critici, si tratterebbe di un tentativo indiretto di riabilitare Stasi, vista l’assenza di prove concrete sull’eventuale ruolo di altri complici.

Eppure, la convinzione che la villetta di via Pascoli non contenesse tracce di altri individui appare oggi meno solida. Le analisi più recenti – insieme a elementi già presenti negli atti originari ma non adeguatamente valorizzati – suggeriscono che la vicenda sia più complessa di quanto stabilito allora. La nuova indagine, quindi, non poggia solo su mere ipotesi, ma su una rilettura critica del materiale probatorio, che potrebbe offrire un quadro inedito di quella tragica mattina di agosto.

Il DNA femminile ignorato: un tassello chiave dell’enigm

Tra i dettagli più rilevanti – e al tempo stesso più sottovalutati – emerge il profilo genetico di una donna sconosciuta, distinto da quello di Chiara Poggi. Questa traccia non è casuale: si trova in punti cruciali della casa, luoghi direttamente collegati alla dinamica dell’omicidio.

  • Sul pomello della porta della cantina: è il locale dove venne rinvenuto il corpo di Chiara. La presenza di un DNA femminile proprio sull’accesso alla scena del crimine fa pensare a un contatto diretto con chi vi è entrato o vi ha agito.
  • Sul miscelatore del lavabo del bagno: secondo la versione processuale, qui Alberto Stasi si sarebbe lavato le mani per eliminare le tracce di sangue. Ma la presenza di un altro DNA, appartenente a una donna, apre scenari alternativi: c’era una complice che si è ripulita? O qualcuno che ha aiutato a cancellare le prove?
  • Sulla maniglia interna del portone d’ingresso: a pochi centimetri da un’impronta attribuita a uno degli aggressori, si è isolata anche questa traccia femminile, come se fosse stata coinvolta nella fuga dall’abitazione.

Le criticità delle indagini del 2007

La relazione del RIS di Parma (2007, pag. 145) descrive chiaramente il profilo genetico rinvenuto, pur specificando che i marcatori erano troppo pochi per un’identificazione completa. Tuttavia, un dato resta indiscutibile: quel DNA non appartiene alla vittima.

Il problema è che all’epoca non venne effettuata una comparazione sistematica con i tamponi salivari delle donne che frequentavano abitualmente la casa. Una lacuna investigativa che oggi appare enorme: quell’analisi avrebbe potuto, per esclusione, restringere il campo e aprire una pista alternativa. Una pista che, inspiegabilmente, non fu battuta.

Il tema del DNA femminile non rappresenta un episodio isolato, ma si inserisce in un quadro probatorio che, secondo chi invoca la revisione, necessita di essere riconsiderato nel suo insieme. La difesa di Alberto Stasi e la nuova inchiesta mettono in discussione la ricostruzione tradizionale: la villetta di Garlasco non sarebbe stata teatro di un delitto commesso da un solo uomo, ma piuttosto una scena complessa, disseminata di tracce e indizi che suggeriscono la presenza di più soggetti.

Per molti osservatori, l’idea che Stasi abbia agito in solitudine appare poco credibile. L’aggressione violenta, lo spostamento del corpo, la successiva ripulitura e la disposizione finale della scena richiedono, secondo questa tesi, una forza fisica e una coordinazione tali da rendere plausibile l’ipotesi di più persone coinvolte.

Il lavoro di rilettura degli atti originari – migliaia di pagine – sta riportando in superficie dettagli che nei processi precedenti non furono considerati determinanti. L’analisi genetica è il campo che più è cambiato: ciò che nel 2007 venne archiviato come un profilo “non caratterizzabile”, oggi, grazie alle nuove tecnologie, potrebbe essere rivalutato con esiti molto più precisi, anche se non sempre risolutivi per una completa identificazione.

Questa evoluzione apre due possibilità concrete: comparare il DNA sconosciuto con persone che non furono mai indagate o riesaminare i tamponi salivari già raccolti per verificare eventuali corrispondenze trascurate. Strade investigative che potrebbero cambiare radicalmente la prospettiva sul caso.

Alla luce di queste considerazioni, la traccia di DNA femminile sconosciuto non appare più come un particolare marginale, ma come una prova materiale capace di dare sostanza all’ipotesi del concorso in omicidio. Una possibilità che contrasta frontalmente con la tesi del delitto solitario su cui si è fondata la condanna di Stasi.

Per chi chiede con forza la riapertura del caso, questa è l’occasione di fare finalmente piena luce su uno dei delitti più controversi d’Italia, sciogliendo i dubbi rimasti in sospeso da quasi due decenni.

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure