
Un dettaglio finora trascurato potrebbe cambiare il corso delle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi. All’interno della sua abitazione a Garlasco, una traccia di sangue sulla cornetta del telefono, a lungo rimasta inspiegata, acquista ora un nuovo significato grazie alla riapertura del caso da parte della procura di Pavia. Questo elemento, apparentemente marginale, potrebbe riscrivere la dinamica del delitto e fornire risposte cruciali sull’identità di “Ignoto 3“, uno dei presunti aggressori.

Chi ha ucciso Chiara Poggi: erano almeno in tre, l’ipotesi della Procura
Le nuove analisi del DNA escludono alcuni amici di Andrea Sempio, tra cui Mattia Capra e Roberto Freddi, mai realmente coinvolti. Ora, l’attenzione è su Michele Bertani. La ricostruzione attuale suggerisce che Chiara avrebbe aperto la porta a una o più persone il 13 agosto 2007, disattivando l’allarme. Successivamente, qualcosa l’avrebbe spinta a cercare aiuto al telefono, dove sarebbe avvenuta la prima aggressione, contraddicendo la sentenza che accusava Alberto Stasi.

Uno degli aggressori avrebbe cercato di tapparle la bocca, provocando una reazione da parte di Chiara che avrebbe lasciato una traccia biologica sconosciuta. Questo potrebbe rappresentare un indizio decisivo. Chiara avrebbe tentato di fuggire, ma sarebbe stata bloccata da un secondo uomo. Le ferite riportate mostrano caratteristiche compatibili con mani diverse.

L’ipotesi della Procura suggerisce che il corpo di Chiara sia stato trascinato verso le scale della tavernetta, un’azione compiuta da qualcuno che conosceva bene l’abitazione. Su un muro delle scale è stata trovata l’“impronta 33”, attribuita ad Andrea Sempio. Questo nuovo scenario ribalta l’idea di un agguato da parte di una persona amata, come il fidanzato Stasi, suggerendo invece la presenza di individui di cui Chiara aveva timore.

Il medico legale Marco Ballardini sottolinea una “lesione ecchimotico-escoriata” sulla coscia sinistra di Chiara, che potrebbe derivare da un calpestamento violento. Questo dettaglio non coincide con le calzature di Stasi. Già nel 2009, il professor Francesco Avato aveva ipotizzato il coinvolgimento di un complice nel trasporto del corpo, suggerendo che l’azione richiedesse la presenza di almeno due persone.