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I dipendenti Facebook scrivono a Zuckerberg: “Basta bugie sui social”

I dipendenti di Facebook non ci stanno. Dicono basta, alzano la voce e puntano il dito contro l’autorità massima, il fondatore Mark Zuckerberg, inviando una lettera pubblica che è stata ripresa dal New York Times e ha fatto il giro del mondo. A firmare il testo, centinaia di lavoratori che hanno mostrato il petto con orgoglio prima di andare all’attacco, rivendicando: “Questa è la nostra compagnia”.

“I contenuti pagati non sono contenuti liberi” è il messaggio recapitato a Zuckerberg, invitato a mostrarsi più determinato nell’affrontare la piaga della disinformazione politica veicolata sui social media di Facebook e Instagram, come documentato da varie inchieste. Aggiungendo, poi, che “non ci si può appellare alla libertà di espressione per giustificare l’inazione della compagnia in merito”, come Zuckerberg ha recentemente fatto in una scottante audizione davanti alla Commissione per i Servizi Finanziari della Camera dei deputati americana. “Scriviamo a voi, I leader di questa compagnia, perché siamo preoccupati che attualmente ci muoviamo su un binario che ci porterà a minare i passi avanti fatti dalle nostre squadre. La disinformazione ha un effetto su tutti noi. Le nostre attuali politiche di fact checking minacciano tutto ciò che FB dice di rappresentare […] Ci opponiamo a questa politica. Non protegge gli utenti ma permette invece ai politici di strumentalizzare la nostra piattaforma”.Per risolvere il problema, i dipendenti hanno anche elencato delle loro personalissime soluzioni: “Applicare il fact-checking anche alle inserzioni politiche pubblicate a pagamento, come con gli altri contenuti pubblicati sui social media. Intervenire sull’aspetto visivo degli ad politici in modo tale da rendere facilmente riconoscibile i contenuti sponsorizzati. Limitare l’utilizzo di strumenti Facebook per profilare gli utenti e indirizzare contenuti ad hoc a seconda del target, come viene fatto sulla piattaforma per le inserzioni commerciali. Rispettare il silenzio elettorale, come è previsto per altri media (come la televisione), possibilmente creando un nuova regola che possa essere applicata in tutto il mondo. Introdurre un tetto per le sponsorizzazioni, riducendo la forbice dei finanziamenti per la pubblicità sul social”.

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