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I veri motivi della rivolta dei pastori sardi. Cosa c’è dietro la crisi del loro latte

Studenti in piazza al fianco dei pastori. Una mobilitazione partita dalla Sardegna ma che ora sta abbracciando tutta Italia. Non era mai successo, finora, che per l’isolatissima Sardegna si unisse l’Italia intera. Ma cosa c’è dietro la protesta dei pastori sardi? Cosa è successo? Una filiera difficile, un settore in crisi. Dietro le proteste di questi giorni scatenate dai pastori sardi, c’è un comparto prezioso ma fragile che sta cedendo sotto i colpi delle logiche industriali e di mercato. La miopia del governo, inoltre, non aiuta a proteggere questo settore.

Il succo della questione è tragicamente semplice: il prezzo offerto per un litro di latte di pecora non riesce a coprire i costi di produzione dei pastori. Da qui la discesa in strada degli allevatori. Sono quattro i livelli-chiave su cui si snoda la filiera.

Il primo è la produzione nelle stalle, con gli ormai noti 60 centesimi offerti dall’industria agli allevatori. Il secondo livello riguarda il conferimento del latte nei caseifici, per la lavorazione del formaggio. A quel punto, il processo si chiude con la vendita all’ingrosso o al dettaglio. Un passaggio di non poco conto che coinvolge la grande distribuzione. I supermercati hanno una massa critica sufficiente da potersi permettere di comprare direttamente dal caseificio, saltando gli altri passaggi.

Fissato a 15 euro al chilo il prezzo di vendita del pecorino romano al consumatore finale, quanto incassano i vari livelli? In media, il supermercato incassa più di 4 volte rispetto ai ricavi dei pastori, che prendono 3,6 euro in tutto (60 centesimi per i 6 litri di latte necessari per un chilo di pecorino). Un commerciante all’ingrosso vende invece a 6 euro, quasi il doppio rispetto al produttore. I costi in più da considerare riguardano le spese di trasporto, confezionamento e pubblicità.

I produttori chiedono almeno 90 centesimi ogni litro per riuscire a sopravvivere. Sì, si tratta di sopravvivenza, infatti. Non di arricchimento. A dare man forte anche l’Ismea che in febbraio ha rilevato un prezzo di 60 centesimi/litro (Iva inclusa) e di 62 a gennaio corrispondenti a 56 centesimi Iva esclusa. “Nello stesso mese i costi di produzione Iva esclusa hanno raggiunto i 70 centesimi/litro”. Risultato? “Un margine negativo per i pastori di 14 centesimi/ litro”. La situazione della filiera è poi resa ancora più incandescente dalla presenza, secondo gli agricoltori, di un ‘cartello’ di industriali, ma soprattutto dall’arrivo di sospetti camion con latte dalla Romania…

Il ‘cartello’ è in particolare nel mirino degli allevatori. “Le remunerazioni offerte – dice infatti Coldiretti – non sono solo indegne ed offensive per i pastori, ma anche illegali”. I coltivatori tirano in ballo le norme sulla concorrenza che vietano “qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose”, comprese quelle che prevedono “prezzi particolarmente iniqui o palesemente al di sotto dei costi di produzione”.

Sulla questione, intanto, oltre al sostegno che arriva ai pastori da parte di gran parte dell’Italia, è intervenuto anche Massimo Zedda, candidato presidente di centrosinistra alle prossime Regionali in Sardegna e sindaco di Cagliari: “Al di là di quanto propone il governo, cioè l’ennesima commissione inconcludente – ha detto il sindaco di Cagliari -, quello che serve è un intervento immediato di legge, una misura per l’oggi, tampone, come già fatto a livello nazionale per il latte bovino attraverso l’istituzione di un fondo da almeno 20 milioni di euro”.

Zedda ha poi aggiunto che “già domani è invece necessario un patto di filiera, con la Regione e lo Stato garanti, perché maggiori benefici arrivino a chi produce”. L’idea più logica, l’unica soluzione possibile. E mentre impazzava la protesta, sotto il peso della tragedia dei pastori, Di Maio e Salvini discutevano sul televoto di Sanremo. Conte? Nullo, muto e assente, come sempre.

Stando ad Assolatte, nell’ultima campagna la produzione di latte e di Pecorino sono cresciute (del 1015% la prima e del 24% la seconda), mentre i consumi interni sono diminuiti e le esportazioni sono crollate del 44%. Oltre a questo, gli industriali nel 2018 avrebbero pagato il latte “ad un prezzo ben superiore a quelli medi regionali”. Da qui la decisione: tagliare i costi. Ma per Assolatte non è solo colpa del mercato. “Da tempo – spiegano gli industriali – abbiamo chiesto di lavorare ad un tavolo nazionale dedicato al settore ovicaprino dove chiederemo alla politica di fare la sua parte”.

In attesa della politica, comunque, ieri si è aperto anche un altro fronte: ad agitarsi, ha fatto notare Confagricoltura, anche gli allevatori del Lazio cioè della seconda regione per latte prodotto. I pastori manifestano sotto Montecitorio e l’attenzione ora è data anche dai social, dove anche personaggi molto noti (ad esempio, tra i tanti, l’ex calciatore della Juventus e della Nazionale Claudio Marchisio e tutta la squadra del Cagliari che è a fianco dei pastori sardi).

 

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