Prigioniero del Coronavirus per 8 mesi: è questo il tempo che Riccardo Gotti, medico e chirurgo vascolare al Papa Giovanni XXIII di Bergamo da 12 anni, è stato ricoverato in ospedale combattendo tra la vita e la morte. “Fino a quando ho potuto agire su me stesso è stato un grande esercizio di autocontrollo. Poi ho lasciato che le cose andassero come dovevano andare. Morire e resuscitare non sapevo che cosa fosse”, ha detto commesso l’uomo. Oggi Riccardo è un simbolo della vita che scansa la morte, un esempio a non perdere la speranza per tutti quelli che lottano contro il virus. “Adesso ho ancora qualche problema di carico, ma a casa mi esercito per tornare al lavoro – ha detto speranzoso il medico a Repubblica -. Ho voglia di riprendermi tutto il prima”.
Riccardo, bergamasco, 49 anni, è tato ricoverato al Papa Giovanni XXIII di Bergamo per quattro mesi, dopodiché è stato per tre mesi e mezzo in un altro centro. Un record per Bergamo. Praticamente sfuggito al richiamo della morte, la sua è una storia quasi da film. Tutto è iniziato a fine febbraio, periodo in cui si stava appena scoprendo in Italia la presenza del virus cinese: “Non immaginavo potesse degenerare. Sono sempre stato bene, zero patologie – ha ricordato Riccardo ripensando ai primi giorni in ospedale -. Allora il virus colpiva quasi solo anziani. Penso: sono giovane, ne esco”. Invece la situazione degenera, spostando il medico da medicina d’urgenza al reparto Infettivi: “Il primo choc è stato il casco Cpap: sei in una bolla, dentro una bolla. Ti senti soffocare – ha spiegato Riccardo -. Il mio compagno di stanza voleva strapparselo via. Da medico, cercavo di tranquillizzarlo. Ma poi la paura ha preso me”.

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