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Il saluto fascista non è reato: la decisione del giudice

Il saluto fascista mostrato in un contesto “commemorativo” non rappresenta un reato. A stabilire questo principio giuridico è stata la Corte di Cassazione che ha annullato senza rinvio una condanna in appello emessa contro quattro appartenenti a gruppi di estrema destra. I fatti contestati agli imputati risalgono al 2016, occasione in cui, nel cimitero Maggiore di Milano, vennero commemorati con il saluto fascista i caduti della Repubblica Sociale italiana.

Il saluto fascista non è reato

Sta facendo molto discutere la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione in merito al saluto fascista. Annullata dunque, come già accennato, la sentenza con cui la corte d’Appello di Milano aveva condannato quattro persone alla pena di 2 anni e 10 mesi di reclusione. I fatti in questione si sono svolti a Milano il 25 aprile del 2016. Data, quella del 25 aprile, in cui si celebra la festa di Liberazione dal nazifascismo. Ma stessa data scelta dai neofascisti per commemorare i caduti della Repubblica Sociale.

In quell’occasione, al cimitero Maggiore vennero identificate circa 300 persone. Tra loro, anche Stefano Del Miglio, presidente dell’associazione Lealtà Azione, recentemente protagonista della seconda parte dell’inchiesta Lobby nera di Fanpage. Solo in quattro vennero indagati per violazione dell’articolo 2 della legge Mancino. Il processo di primo grado si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati perché il fatto non sussiste.

Ma il successivo appello, proposto dal pubblico ministero milanese, portò ad una condanna per tutti di 2 anni e 10 mesi di prigione. L’udienza del 12 ottobre scorso, celebrata davanti alla Prima sezione penale della Corte di Cassazione, ha invece ribaltato nuovamente la sentenza. Annullata senza rinvio la sentenza di appello perché il fatto non sussiste. “Siamo soddisfatti del risultato ottenuto all’udienza del 12 ottobre. – commenta l’avvocato difensore Antonio Radaelli – Attendiamo il deposito delle motivazioni per capire l’iter logico della Suprema Corte di Cassazione”.

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