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La schiavitù in Italia: un rapporto che fa vergogna e ribrezzo. E ora le cose peggiorano…

Nei campi d’Italia ci sono centomila schiavi, nove su dieci non parlano italiano, vivono senza bagno: sono i braccianti “invisibili”, isolati. E anche al Nord adesso arrivano i primi caporali. A 14 anni i figli non sanno leggere, molti svaniscono come fantasmi. I dodici migranti schiantati su un pulmino dei caporali ad agosto, i sindacalisti solitari e coraggiosi come Soumaila Sacko, l’albanese ribelle Hyso Telaray, i cento polacchi spariti in sei anni nel Tavoliere di Puglia, gli italiani resi stranieri in patria dalla miseria e ammazzati dalla fatica come Paola Clemente. Il rosso del sangue si mischia al rosso dei pomodori, sostiene don Francesco Soddu.

“Un unicum che sembra legare indissolubilmente l’esistenza di queste persone, la loro vita e la loro morte, alla terra e ai suoi frutti”, aggiunge il direttore di Caritas Italia che in queste crepe della nostra convivenza, nei campi dove ci si spezza la schiena per due euro l’ora senza diritti né tutele, è andata a scavare con i suoi volontari ottenendo risultati su cui vale la pena riflettere.

Il 71% dei braccianti immigrati non sono iscritti all’anagrafe, il 70% senza contratto, il 36% senza acqua potabile, il 3o% senza servizi igienici, una stima di diciotto o ventimila accampati negli slum del Sud, l’89% incapace di esprimersi nella nostra lingua: sono solo alcuni dei numeri dolenti raccontati da “Vite sottocosto”, il secondo Rapporto Presidio dell’organismo pastorale della Cei. Numeri che, incrociati a quelli dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Cgil (tra i 70 e i 100 mila lavoratori stranieri occupati in forma “para-schiavistica” nel nostro settore agroalimentare), formano il perimetro di una vasta questione.

Un quadro significativo esteso da Nord a Sud. I volontari hanno contattato 4954 lavoratori di 47 nazionalità grazie all’appoggio di tredici diocesi e all’impegno di un gruppo di studiosi coordinato da Piera Campanella. Un mondo ricurvo sulla terra e su se stesso. Le serre come prigioni, “distese prepotenti di plastica” che fanno anche da dormitorio e che inglobano il migrante isolandolo dal mondo. In questo universo spesso si dorme in capannoni accanto al veleno dei bidoni di fertilizzanti: “Casolari, abitazioni diroccate, baracche, rimesse per gli attrezzi delineano una sorta di topografia dello sfruttamento”.

La prima immigrazione tunisina, sindacalizzata, combatte una feroce lotta contro i nuovi arrivati, romeni, spesso rom, disposti a diventare in silenzio nuovi servi della gleba, con le famiglie al seguito, i bambini senza scuola abbandonati in baracca tutto il giorno, le ragazze costrette a corvée sessuali. Il primo passo avanti è stato fatto grazie alla legge del 2016 contro il caporalato voluta dal governo Renzi. I migranti irregolari sono i più vulnerabili. Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione Caritas, è convinto che il decreto Salvini appena convertito in legge peggiorerà le cose, “aumenterà l’illegalità”.

Di sicuro chi è senza permesso di soggiorno è disposto a tutto, la massa che esce in questi giorni dai Cas e dai Cara la ritroveremo sfruttata nelle campagne la prossima estate. Volendo scovare i famosi “invisibili” che turbano sonni e sondaggi, al governo basterebbe seguirla, o seguire le tappe dei volontari Caritas: ma la nostra agricoltura finirebbe in ginocchio senza schiavi, più facile per tutti lasciare inginocchiati tra le zolle gli schiavi del terzo millennio.

 

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