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Alessia Pifferi, respinto il ricorso dei suoi avvocati: “Ma non è un mostro”

Il caso Alessia Pifferi non è chiuso. La donna, accusata di aver lasciato morire di stenti in casa a Milano la figlioletta Diana di un anno e mezzo, si trova rinchiusa nel carcere di San Vittore. Nella giornata di lunedì 3 ottobre il giudice per le indagini preliminari, Fabrizio Fillice, ha respinto l’istanza presentata dai due avvocati della Pifferi, Luca D’Auria e Solange Marchignoli, i quali chiedevano una consulenza neuroscientifica sulla loro assistita. E allora D’Auria decide di sfogarsi con Fanpage.

Alessia Pifferi

“La giustizia nega il diritto di difendersi, trattando le neuroscienze come qualcosa che può entrare nel processo solo per valutare l’infermità mentale, quando invece studiano i percorsi cognitivi e l’intenzionalità di tutte le attività umane. – si sfoga l’avvocato con Fanpage – La difesa di Alessia Pifferi non può arrendersi di fronte all’ennesimo diniego finalizzato a capire cosa sia successo nel cervello della propria assistita. È troppo facile chiudere la partita bollandola come un mostro da bruciare sul rogo mediatico”, conclude.

Complesse anche le motivazioni che hanno portato il gip a respingere l’istanza. Alessia Pifferi non avrebbe infatti avuto alcuna storia passata di disagio psichico. E, scrive il giudice, “si è sempre dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo”.

Insomma, secondo il gip, dalle relazioni presentate dal servizio di psichiatria interna del carcere di San Vittore, sarebbe emersa “una condizione psichica della donna del tutto nella norma”. Conclusioni diametralmente opposte a quelle a cui sono giunti i legali di Alessia Pifferi e i loro consulenti. Il giudice aggiunge alle sue motivazioni il fatto che questa richiesta avrebbe “l’espressa finalità di incidere sul processo interpretativo del giudice che ha, in particolare, a oggetto la corretta delineazione dell’elemento soggettivo del reato”.

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