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La Turchia ha bloccato 200 mila mascherine dirette in Italia (e già pagate dalle nostre aziende)

Mascherine ferme alla dogana, in attesa di poter prendere il volo per raggiungere l’Italia, dove l’emergenza sanitaria è seria, serissima, e il materiale negli ospedali non basta per gestire personale e pazienti. Un via libera al momento mai però arrivato ad Ankara, in Turchia. Negli scatoloni, pronte a imbarcarsi, ci sono 200 mila mascherine Fp2 e Fp3 con valvola, acquistate dalla Comitec dall’azienda turca Ege Maske alla fine di febbraio. E già regolarmente pagate, destinate all’Emilia-Romagna e alle Marche dove i numeri dei contagiati da coronavirus continuano a preoccupare.

A bloccarle, impedendo il decollo, è un decreto d’urgenza del governo turco e che prevede l’autorizzazione del ministero della Salute per un’eventuale esportazione, stabilita e poi rimandata. L’ambasciata italiana continua a fare pressione da una ventina di giorni, sollecitando un invio immediato. Al momento, ancora inutilmente. “Un paio di giorni e sarà tutto ok” è la risposta che continuano a sentirsi dare. Conte ha telefonato direttamente a Erdogan per sbloccare la questione, ottenendo in cambio rassicurazioni solenni. Al momento, però, la partenza non c’è ancora stata.L’azienda italiana, nel frattempo, aveva sborsato la bellezza di 670 mila euro e non può nemmeno chiederne la restituzione al fornitore, che in effetti le mascherine le ha regolarmente consegnate, senza sapere che sarebbero finite ostaggio delle autorità turche. L’ordine di altre 300 mila, però, è stato annullato, onde evitare il ripetersi di un simile siparietto. Triste e che fa rabbia, in un momento così drammatico per l’Italia e l’Europa intera, con i numeri dei contagiati e dei deceduti che continuano a salire in maniera allarmante soprattutto nel nord del Paese.Una rabbia doppia, considerando come l’economia turca sia decollata nel corso di questi anni anche grazie alla tecnologia italiana. Erdogan, evidentemente, non sembra ricordarsene. E così l’Italia corre ai ripari, avviando fabbricazioni intensive di mascherine sul proprio territorio nella speranza che, nel frattempo, il buonsenso illumini la testa di altri leader europei. Che sembrano infischiarsene, al momento, del nostro disperato grido di aiuto.

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