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Le “spese obbligate” salassano le famiglie italiane: le cifre

Il peso delle spese obbligate sul bilancio familiare degli italiani continua a crescere, diventando un problema sempre più evidente. Nel 2023, oltre il 56% delle spese totali delle famiglie è stato destinato a coprire costi essenziali come alimenti, carburante e bollette. Questo dato, riportato dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, rappresenta una media di 1.191 euro al mese su una spesa complessiva di 2.128 euro. Nonostante l’inflazione sui beni primari e le utenze sia rallentata rispetto al picco del 2022, questi costi rimangono ben al di sopra dei livelli pre-pandemia, quando rappresentavano tra il 53% e il 54% della spesa complessiva.

Queste spese irrinunciabili comprendono, in media, 526 euro mensili per alimenti e bevande non alcoliche, 374 euro per le spese domestiche (inclusi energia e manutenzione), e 291 euro per i trasporti, tra carburanti e abbonamenti ai mezzi pubblici. A tali importi si aggiungono circa 937 euro destinati a spese complementari, come abbigliamento, istruzione e svago. Tuttavia, l’incidenza delle spese obbligate varia notevolmente su base territoriale: nel Sud Italia, queste rappresentano quasi il 60% della spesa complessiva, mentre nelle regioni del Nord si attestano intorno al 55%. Questo divario mette in luce la difficoltà crescente delle famiglie meridionali, spesso già penalizzate da un reddito medio inferiore e da un costo della vita più alto rispetto alle risorse disponibili.

Il contrasto tra Nord e Sud Italia è marcato anche in termini di spesa complessiva. Mentre una famiglia del Nordovest spende mediamente 2.337 euro al mese, nel Mezzogiorno si scende a 1.758 euro, con una differenza che supera il 24%. Questo squilibrio riflette un aumento della povertà relativa, come evidenziato dai dati Caritas, che sottolineano la difficoltà di accedere a beni e servizi essenziali nelle aree più svantaggiate. La maggiore incidenza delle spese obbligate nelle regioni meridionali lascia meno margine per consumi discrezionali, come abbigliamento, cultura e attività ricreative, limitando ulteriormente le opportunità di migliorare la qualità della vita.

Le implicazioni economiche sono significative. La riduzione dei consumi discrezionali si traduce in un calo della domanda per beni e servizi non essenziali, penalizzando soprattutto le piccole imprese e le attività artigianali. Questi settori, già provati dalla crisi energetica e dalle difficoltà post-pandemia, risentono di un circolo vizioso che frena la ripresa economica, in particolare nelle aree più colpite dalla crisi. La progressiva erosione del potere d’acquisto, unita all’aumento delle spese obbligate, rappresenta una sfida cruciale per il futuro economico e sociale del Paese, richiedendo interventi mirati per sostenere le famiglie e favorire una ripresa equilibrata.