Il M5S è a una nuova svolta. Tra espulsioni, lotte intestine e l’elezione del comitato direttivo la situazione è a dir poco esplosiva. Il cambio al vertice non sarà che la goccia che farà traboccare il vaso. Una resa dei conti, insomma. Nel partito, infatti, non c’è più accordo su nulla. Chi pensava che la spaccatura fosse solo tra dissidenti e governisti si sbaglia, anche questi ultimi al proprio interno se le stanno suonando. Basti pensare a Paola Taverna che chiede di non cacciare i dissidenti che hanno votato contro Draghi “perché sono parte fondamentale del Movimento, oltre che amici fraterni e compagni di tante battaglie”. Ma dietro queste esternazioni e queste prese di posizione si nasconde un’altra questione: la voglia di ricoprire un ruolo centrale nel direttivo. Lo fa la Taverna, lo fa anche Di Maio, soprattutto Di Maio.
La Taverna, stando ai rumors, è data in testa per la candidatura al direttivo. Ma come racconta Il Secolo d’Italia, “è anche data come non candidabile per l’antica questione delle indennità. Primo nodo da sciogliere intorno al direttivo: chi si può candidare e chi no? I morosi o quelli incappati in qualche incidente, tipo la Taverna o Dino Giarrusso, anche lui fra i possibili nomi, ma inciampato nei finanziamenti della campagna elettorale, possono? Gli espulsi ricorrenti e i sottoposti a provvedimento, sui quali lo Statuto è incerto, possono? I non iscritti come Giuseppe Conte, per il quale si vocifera di un intervento diretto di Beppe Grillo e di una eventuale modifica statutaria, possono?”.