Poteva essere un clamoroso fallimento, una pesantissima sconfitta per la procura di Roma che invece ha ottenuto la sua rivincita. Mafia capitale era mafia, come emerso dalla sentenza dei giudici di secondo grado chiamati a esprimersi sugli intrecci tra criminalità e politica nella capitale messi in luce dalle indagini coordinate dal procuratore Giuseppe Pingitore nel 2014. 37 arresti, oltre 100 indagati, tra i quali esponenti tanto della giunta Alemanno di centrodestra quanto del Pd. La prima sentenza, nel 2017, aveva fatto decadere per tutti gli imputati l’accusa di associazione mafiosa. Una visione ribaltata dalla Corte d’Appello di Roma, che ha sì ridotto le pene per i grandi accusati, Carminati e Buzzi, ma ha riconosciuto l’aggravante mafiosa ribaltando il giudizio precedente. Una sentenza accolta da Pingitore con grande soddisfazione.
A chi accusa la procura di aver abusato della parola “mafia”, Pignatone replica: “Noi cerchiamo di applicare la legge, e siamo arrivati alla conclusione che a Roma ci sono gruppi criminali che sulla base di una corretta interpretazione dell’articolo 416 bis del codice penale vanno classificate come associazioni mafiose. Altre no”. Infine, il procuratore chiarisce il peso della sentenza sul suo operato: “Pur senza negare l’importanza di questo processo, che si è caricato di molti significati, anche di natura politica, ma non per nostra volontà, mi pare che in questi anni abbiamo fatto anche molte altre cose. E non penso che il giudizio sul lavoro di una procura si possa legare all’esito di una singola inchiesta”.