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Governo nel caos, Tria: “Lascio”. Il ministro dell’Economia a un passo dal folle gesto

Il clima nel governo è sempre più teso. Stavolta ad alzare la voce è il ministro del Tesoro Tria. E non per un fatto personale. “Presidente, se il problema sono io, allora vorrei fosse chiaro che sono pronto a fare un passo indietro anche subito”: secondo Repubblica sarebbero queste le parole pronunciate da Giovanni Tria davanti a Giuseppe Conte. Tria ha voluto spiegare anche a Di Maio che le prove muscolari (cioè gli ultimatum che gli hanno lanciato dal Movimento stesso) invece di produrre risultati politici provocano costi economici.

Perché è bastata una nota ufficiosa dei grillini contro il titolare di Via XX Settembre per far alzare lo spread senza che calasse la tensione dentro il M5S. Il problema del vice premier cinquestelle è chiaro a tutto il governo: come spiega un autorevole ministro leghista, “per superare le pressioni interne, nella manovra Di Maio dovrà intestarsi qualcosa di pesante, cioè il reddito di cittadinanza. Ma ci sono limiti di spesa”. Ed è dentro quei “limiti” che Tria sta cercando di trovare una soluzione per le richieste al rialzo di entrambe le forze di maggioranza.

Il fatto è che l’altro ieri le sue parole sono state interpretate dai grillini come un altolà ai loro desiderata, quindi un colpo basso, soprattutto in vista delle Europee, con il rischio di perdere la credibilità degli elettori. E questo si è aggiunto all’irritazione dettata dal fatto che — dopo aver accettato di abbassare i toni per quietare i mercati — hanno visto Tria “sconfinare” dalle sue competenze, e prendere posizione a favore di Tav e Tap. Per Di Maio — che già deve gestire il malcontento per il rilancio dell’Ilva — è stato un atto “ostile”, compiuto da un ministro che “non ha ruolo politico”, e dunque non può intervenire su questioni “non di sua competenza”. Alta tensione allo stato puro.

Di qui la rappresaglia mediatica scattata ieri verso ora di pranzo, un vero e proprio ultimatum anonimo dei grillini con cui si chiedeva al titolare dell’Economia di “mettere in manovra dieci miliardi per il reddito di cittadinanza” o di fare le valigie, ché altrimenti sarebbe stato il Movimento a “chiedere le sue dimissioni”. Chi abbia armato la manina non si sa. Di certo, prima che Tria reagisse avevano già reagito la Borsa (in discesa) e lo spread (in salita).

Pranzo del ministro rovinato, comunicazioni con l’esterno interrotte dal suo staff. Motivo? “È furibondo”. Poi la decisione di chiarire con il capo dei Cinquestelle, oltre che avvisare Conte. Perché il punto per il responsabile dell’Economia non è (solo) vedersi trasformato in un “capro espiatorio”, sacrificato sull’altare della polemica politica: il tema è che in questa fase “un messaggio vale quanto un decreto”, e il suo impatto si vede “dall’effetto che determina”. Infatti, smentita la nota, la Borsa ha recuperato e lo spread si è raffreddato. Mentre la tensione nel governo è rimasta invariata.

Intanto, tutti vogliono scongiurare una vera crisi di governo, e Salvini si muove su un doppio binario per aiutare Di Maio: continua a praticare il pressing per i suoi “titoli” nella manovra ma si cura anche di non offrire pretesti all’ala movimentista del grillismo, onde evitare che affondi il colpo sull’altro vice premier. Dietro lo scontro, che viene successivamente fermato da Di Maio il quale tiene la barra delle richieste del M5S ma esclude l’ipotesi di dimissioni del ministro, c’è la guerra interna con la Lega e quello che i grillini vedono come un tentativo di frenare l’avvio dell’assegno (780 euro a cinque milioni di poveri) il prossimo anno, per spuntare le armi M5s nella campagna elettorale per le europee. Anche la Lega rinuncerebbe a far partire subito la flat tax (se non per partite Iva e piccole aziende) ma punta sull’introduzione di quota 100 (a partire dai 62 anni di età) per le pensioni.