Esiste una macchina che testa in modo efficace la resistenza e l’impermeabilità dei tessuti, quelli impiegati per le mascherine. Un discorso quanto mai attuale vista l’emergenza coronavirus e considerato che appare sempre più chiara l’importanza, per lungo tempo, di queste forme di protezione, quasi in ogni parte del mondo. A realizzarla sono stati i ricercatori dell’Università di Cagliari, ingegneri e docenti di Scienza dei materiali, che hanno messo appunto un dispositivo che certifica la bontà delle mascherine, il bene più prezioso in questo tempo storico. È una pompa da vuoto che aspira aria e verifica la differenza di pressione della singola mascherina chirurgica, fissata, certificandone la cosiddetta “respirabilità”. Hanno trovato una pompa in dipartimento, i ricercatori, hanno acquistato una serie di tubi e hanno avviato il meccanismo – comprensivo di manometro e flussimetro – che aspira otto litri al minuto.
Sì, perché la capacità di lasciar respirare chi la indossa non è l’unico requisito richiesto dalla norma tecnica “Maschere facciali ad uso medico – Requisiti e metodi di prova”, l’ormai famosa Uni En 14683:2019. Servono test successivi sulla coltivazione batterica, l’eventuale spruzzo dello starnuto. Chiuse tutte le prove, l’Università di Cagliari redige un rapporto di prova e invia tutto all’Istituto superiore di Sanità, che potrà concedere l’autorizzazione a vendere il pezzo. L’Università di Cagliari, attraverso il Dipartimento di Scienze mediche e Sanità pubblica, sta acquistando anche la macchina per i test batteriologici: completerà, così, la filiera dei test sulle mascherine. Sulla stessa strada di prova dell’oggetto di protezione per antonomasia si sono avviate, in queste settimane, il Politecnico di Milano e l’Alma Mater di Bologna.
“Il nostro compito è quello di aiutare aziende neofite a realizzare una mascherina efficace che possa entrare nel mercato italiano”, racconta il ricercatore (precario) Giorgio Pia, che ha realizzato la macchina insieme ai colleghi ingegneri Roberto Ricciu e Paola Meloni. “Stiamo costruendo le linee guida per quella che è, a tutti gli effetti, autoproduzione, spesso casuale. È il nostro modo di essere utili, collaborare a un lavoro di difesa nazionale”. Il direttore del Dipartimento di Ingegneria meccanica, chimica e dei materiali, Giacomo Cao, spiega: “Abbiamo iniziato il progetto 14 aprile e il 17 eravamo pronti con la macchina, il momento richiede energie e velocità speciali, che neppure noi conoscevamo”.Ti potrebbe interessare anche: Vaccino anti Covid-19, iniettate ad Oxford le prime dosi sull’uomo. Tra i volontari una ricercatrice italiana