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Il Portogallo sorprende l’Europa: contagi e vittime limitati grazie al lockdown rapido

Il Portogallo affronta la pandemia con differenze abissali rispetto alla vicinissima Spagna. E sorprende l’Europa. Poche settimane fa c’erano tutte le premesse perché la diffusione del coronavirus provocasse un disastro anche qui, e invece in Portogallo le cose sono andate meglio del previsto, tanto che diversi giornali internazionali hanno iniziato a parlare dell’eccezione portoghese al coronavirus. Con un sistema sanitario locale è tra i più malmessi in Europa e ha il numero di posti letto in terapia intensiva più basso in rapporto agli abitanti dell’intera Unione Europea (4,2 ogni 100mila persone). Il suo territorio inoltre confina per centinaia di chilometri con quello della Spagna, il paese europeo più colpito dalla pandemia insieme all’Italia. Attualmente, i casi di contagio sono più di 18.000 e i decessi 600. Il Capo dello Stato e il primo ministro Costa hanno annunciato mercoledì 16 aprile che le misure restrittive continueranno per tutto il mese, sperando in una riapertura più ampia a maggio.

La gestione coronavirus
Il Portogallo è prudente, ma ottimista sulla sua sfida contro il coronavirus. Con un quarto della popolazione della vicina Spagna, il Paese ha circa un decimo del numero di casi. E mentre il tasso di mortalità per COVID-19 supera appena il 3%, il dato è nettamente inferiore al 10% in Spagna, al 12% nel Regno Unito e al 15% in Francia. Questo accade in una nazione con più cittadini di età superiore agli 80 anni che in qualsiasi parte dell’UE, tranne l’Italia e la Grecia. Inoltre, il servizio sanitario è scarsamente attrezzato e mal finanziato. Il Portogallo ha solo 4,2 posti letto di terapia intensiva per 100.000 persone, il più basso dell’Unione Europea. La Spagna ne ha oltre 9, la Germania quasi 30. Come spiegare allora il contenimento della pandemia? Tra le interpretazioni più valide del caso portoghese, per gli esperti ci sono la geografia e la fortuna. La nazione più occidentale dell’Europa continentale, infatti, ha registrato i suoi primi casi di coronavirus il 2 marzo, un mese dopo la comparsa della malattia in Spagna e in Italia. Un ritardo che ha permesso al Governo di osservare i suoi vicini e imparare dai loro errori, introducendo contromisure prima che il virus prendesse il controllo.Il Portogallo ha decretato lo stato di emergenza in presenza di poche centinaia di casi e ha chiuso le scuole il 16 marzo quando c’erano solo 245 positivi nel Paese. La Spagna aveva 2.140 infezioni quando la maggior parte dei Governi regionali ha bloccato la didattica il 12 marzo. In più, Lisbona ha vietato tutti gli incontri pubblici già nella fase iniziale dell’evoluzione dell’epidemia. Sebbene l’infezione fosse concentrata nel nord, intorno alla città di Porto, il sistema di governo centralizzato del Portogallo ha consentito l’attivazione di misure rapide a livello nazionale piuttosto che l’azione regionale frammentaria adottata altrove. Ecco, dunque, in parte, svelata l’eccezionalità portoghese. Alla quale va aggiunta la tanto lodata – anche dal primo ministro Costa – autodisciplina dei cittadini. In più, elemento non proprio secondario, il Governo portoghese ha accelerato le procedure di regolarizzazione di immigrati e richiedenti asilo sul territorio nazionale, consentendo loro di accedere all’assistenza sanitaria anche per coronavirus.“Dobbiamo essere prudenti. I risultati sono buoni ma non si può abbassare la guardia”, ha ammonito la ministra della Salute Marta Remido. L’aria però è quella dello scampato pericolo. I rischi per il Paese, in effetti, erano altissimi: l’età media dei lusitani è altissima e oltre gli ottant’anni, sui livelli di Italia e Grecia. L’austerità ha devastato il sistema sanitario nazionale che all’inizio della pandemia disponeva di 4,2 letti di terapia intensiva ogni 100 mila abitanti contro il 12 dell’Italia e i 33 della Germania.

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