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Record dimissioni volontarie: nel 2022 in fuga dal lavoro 1 milione e 600 mila persone

Nonostante la crisi economica con l’inflazione in crescita, in Italia si registra un record di dimissioni volontarie per l’anno 2022. Dagli ultimi dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, nei primi nove mesi del 2022 oltre 1,66 milioni di persone hanno lasciato volontariamente il posto di lavoro. Il numero è in aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021 quando è stato pari a 1,36 milioni. Nel solo terzo trimestre dell’anno scorso, le dimissioni sono state 562 mila, in crescita del 6,6% (più 35 mila) sul terzo trimestre 2021. I dati mostrano un vero paradosso, vista l’inflazione alle stelle e la diffusa incertezza sul futuro. Dunque viene naturale chiedersi perché milioni di italiani lasciano lo stesso il posto di lavoro? Negli Stati Uniti questo fenomeno è ormai noto come Great resignation, le grandi dimissioni. In Italia non è della stessa portata ma di certo, dopo la pandemia, il fenomeno record di dimissioni volontarie dal lavoro si fa sempre più spazio. Continua così ad aumentare il numero di coloro che decidono di lasciare il posto. Per scelta o per necessità, per guardare avanti rispetto alla propria occupazione e carriera o per far meglio conciliare le esigenze della famiglia. I motivi possono essere vari, ma di fatto la tendenza osservata a partire da 2 anni a questa parte si conferma con numeri in salita.

Aumentano anche i licenziamenti
Dopo la scadenza dei contratti, le cause più frequenti per la cessazione dei rapporti di lavoro sono le dimissioni. In base alle cifre del ministero del Lavoro, si nota anche come, dopo la fine del blocco di licenziamenti stabilito durante la crisi pandemica, risalga anche il numero dei licenziamenti. Infatti, tra gennaio e settembre 2022, sono stati circa 557mila i rapporti interrotti per decisione del datore di lavoro contro i 379mila nei primi nove mesi del 2021, con un aumento del 47% rispetto ad un periodo in cui era però in vigore il blocco. Nel terzo trimestre del 2022, i licenziamenti registrati sono stati quasi 181mila, con una crescita del 10,6% (pari a +17 mila) rispetto al terzo trimestre del 2021.
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Le cause delle dimissioni
Guardando il solo terzo trimestre dell’anno scorso, le dimissioni volontarie dal lavoro sono state 562mila, in crescita del 6,6% (pari a +35mila) sul terzo trimestre 2021. Dati che confermano, dunque, come continui il trend positivo partito dal secondo trimestre 2021, seppure con una variazione inferiore rispetto ai trimestri precedenti. Sarà dunque per un mercato del lavoro che diventa più dinamico, per una scelta di vita diversa o per le conseguenze della crisi, ma il fenomeno delle dimissioni cresce e si fa trasversale. Guardando al genere, questo fenomeno ricade sia sugli uomini che sulle donne, anche se quest’ultime sono in maggioranza. Secondo gli osservatori, a creare questo record di dimissioni da un lato può essere stata la ripresa occupazionale post- pandemia, con maggiore mobilità e opportunità anche per chi vuole cambiare lavoro, soprattutto per i profili tecnici e specializzati. Dall’altro lato, al contrario, proprio la crisi e la necessità o il desiderio di un diverso equilibrio tra vita privata e professionale possono aver spinto a scegliere di dire addio al proprio posto di lavoro.


Secondo quanto ha riportato Money.it, Fabrizio Pirro, docente di Sociologia del lavoro, ha cercato di interpretare e spiegare questo fenomeno record di dimissioni volontarie dal lavoro, e dunque perché nel 2022, nonostante l’inflazione, siano aumentate le dimissioni in Italia. Secondo Pirro come prima cosa va fatta un’analisi più dettagliata di questi dati per capire chi si licenzia, con quale livello d’istruzione e per quali tipi di lavoro. Un approfondimento porterebbe quindi a individuare meglio i motivi dei licenziamenti, separando quelli apparentemente immotivati da quelli determinati dall’aver trovato un’offerta di lavoro retribuita meglio o più soddisfacente. “Sicuramente – secondo il professore – non si può dire che esista un unico fenomeno Great Resignation che vale per tutto l’Occidente, perché ogni realtà sociale e mercato del lavoro è diverso e banalmente tra Italia e Stati Uniti ci sono molte differenze”.


Tuttavia quest’ultimi dati, per Pirro, sembrerebbero confermare una tendenza generale che “durante la pandemia si è solo acutizzata e cioè la presenza di vari fenomeni di Great Resignation in Occidente, da declinare al plurale, ma accomunati da un elemento sociologico: il lavoro non basta più a dare identità e soddisfare dal punto di vista esistenziale le persone”. La spiegazione del professore unisce quindi quella puramente psicologica (che dice in sostanza che, chi se lo può permettere, cerca un lavoro migliore per cambiare vita), con quella economica, legata a fattori di stagionalità e a un nuovo dinamismo del mercato del lavoro che “fino a qualche decennio fa era impensabile in Italia”.

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