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“Ho mandato Giulio a morire”. Le bugie e il ruolo della prof di Cambridge nel caso Regeni

I magistrati della Procura di Roma che seguono il caso della morte di Giulio Regeni tornano all’attacco della professoressa Maha Mahfouz Abdelrahman, docente di Giulio all’università di Cambridge che ne seguiva il lavoro in Egitto. Scrivono i magistrati: “Assenza di volontà di contribuire alle indagini relative al sequestro, la tortura e l’omicidio di un suo studente; quali siano le ragioni di siffatta anomala condotta non è stato possibile, sino ad oggi, accertare”. Così ha scritto il pubblico ministero Sergio Colaiocco nell’atto finale dell’inchiesta arrivata anche nel Regno Unito. Tuttavia dal computer della professoressa, acquisito tramite l’autorità giudiziaria britannica, è saltata fuori una e-mail inviata a una collega canadese il 7 febbraio 2016, quattro giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio, in cui scriveva: “Ho mandato un giovane ricercatore verso la sua morte…”.

Nella mail la professoressa aggiungeva: “Indicare alle persone come fare ricerca è qualcosa che, penso, sento di non dover più fare”. Poche parole “rivelatrici — secondo il pm — non solo del rimorso della docente per la sorte toccata al suo ricercatore, ma anche della leggerezza che aveva caratterizzato la sua gestione del dottorando Regeni, soprattutto nella fase di invio sul campo”. Dal computer di Giulio messo a disposizione dai suoi genitori (“una miniera di dati preziosissima per ricostruire i fatti, dimostrare la correttezza delle sue azioni in Egitto, smentire falsi testimoni e comprendere il movente dei fatti”, sottolinea la Procura) è venuto fuori, come riporta il Corriere, che era stata proprio Abdelrahman a suggerirgli di focalizzare studi e ricerche in Egitto.

Di studiare il “ruolo dei lavoratori nella rivoluzione nell’era post-Mubarak”, e in particolare sul ruolo dei sindacati autonomi, mentre lei ha affermato che fu un’iniziativa di Regeni. Altre “contraddizioni” riguardano la scelta della tutor al Cairo, sulla quale Giulio nutriva perplessità, e soprattutto l’idea di chiedere un finanziamento alla ricerca di 10.000 sterline alla Fondazione inglese Antipode. “È un bando che Maha mi ha inviato un po’ di tempo fa”, scrisse lo studente alla madre il 14 novembre 2015. Nella ricostruzione della Procura di Roma, quel finanziamento rappresenta un punto di svolta nel destino di Giulio.

Spiega il Corriere: “L’attenzione delle forze di sicurezza egiziane s’è moltiplicata dopo la scoperta che dietro i suoi contatti con gli ambulanti del Cairo poteva esserci Antipode. Lo disse anche il maggiore della National security Magdi Ibrahim Sharif, quando confessò al collega kenyota di aver arrestato Regeni: ‘Era appartenente alla Fondazione Antipode che spingeva per l’avvio di una rivoluzione in Egitto’. Non era vero, ma il solo fatto che Giulio parlasse di questa ipotesi ‘che non si concretizzerà mai’ è diventato, per l’accusa, ‘una delle concause della sua tragica fine'”.

Il ricercatore italiano condivise la possibilità di quel finanziamento anche con Mohamed Abdallah, leader del sindacato autonomo degli ambulanti. Il quale intravide la possibilità di guadagnarne qualcosa per sé, ma anche un sospetto da riferire agli agenti della National security. L’11 dicembre 2015 Regeni assiste a una riunione con oltre cento sindacalisti in cui si discute su come ‘arginare le manovre del governo Al Sisi tese a contrastare le sigle indipendenti’. C’è Abdallah e c’è pure una ragazza, coperta dal velo, che scatta una foto a Giulio; un episodio che lo preoccupò molto, secondo la testimonianza del suo amico e collega Francesco De Lellis.

Continua il Corriere: “Una settimana dopo, il 18 dicembre, il maggiore Sharif chiede a Abdallah di approfondire la provenienza delle 10.000 sterline di cui gli ha parlato Regeni. Il sindacalista incontra Giulio, parlano dei soldi, e a sera Giulio annota sul suo computer: ‘Umana miseria… Mi ha chiesto che cosa ne verrebbe fuori per lui… Sono rimasto scioccato e gli ho risposto che ne sarebbe rimasto fuori per il fatto che è un sindacalista che lavora per i venditori ambulanti’. Dal ricercatore italiano Abdallah ha ottenuto una copia del bando, che Sharif manda a ritirare il 20 dicembre”.

“Per le vacanze di Natale Giulio rientra a casa dai genitori, torna in Egitto il 4 gennaio e la National security riconvoca il sindacalista. Concordano un nuovo incontro tra lui e Regeni, che stavolta sarà registrato. I due si vedono la sera del 7 gennaio e al termine dell’intercettazione audio-video, nota da tempo, resta incisa la voce di Abdallah che chiama la caserma della National security per concordare la restituzione del microfono. Per la Procura di Roma questo episodio è ‘con tutta evidenza un’operazione degli apparati di sicurezza egiziani con la finalità di documentare l’attività “eversiva” di Regeni, che non solo ha tradito le aspettative, ma anche certificato la totale estraneità dell’italiano a qualsivoglia tentativo di sovvertire l’ordine costituito egiziano’. La tagliola che si stava chiudendo intorno a Giulio, però, non s’è fermata”.

Quello stesso 7 gennaio Regeni incontrò pure la professoressa Abdelrahman, in trasferta al Cairo. Lei ha sostenuto che tra il settembre 2015 e il 25 gennaio 2016 (giorno del sequestro) “non vi sono stati contatti significativi con Giulio”. Un’altra bugia per la Procura di Roma, che commenta: l’indagine ha accertato che in quel periodo ci furono “molti contatti, alcuni particolarmente significativi”.

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