I respingimenti dei migranti in Libia sono al centro di una denuncia all’Italia di fronte al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite. Un’azione formale che è stata avviata dal Global Legal Action Network (Glan), organizzazione di avvocati, accademici e giornalisti investigativi, per conto di un sud-sudanese che era stato riportato con la forza, insieme ad altri migranti, in un porto libico dopo essere stato salvato da un mercantile nel Mediterraneo. Si tratta di una prima assoluta, fa sapere in una nota il Glan.
Un respingimento di massa illegittimo, contrario al diritto internazionale, che sarebbe stato dunque coordinato dall’Italia secondo una strategia di salvataggio delegato ai privati per applicare il controllo delle frontiere. Un “modello di pratica” che – secondo un rapporto redatto da Charles Heller di Forensic Oceanography, ramo della Forensic Architecture Agency basata alla Goldsmiths University of London, l’Italia e l’Europa avrebbero applicato ben 13 volte nell’ultimo anno, in coincidenza con la politica italiana dei porti chiusi.
Alcune delle persone riportate in Libia sono state rintracciate nei centri di detenzione e le loro testimonianze sono state raccolte. In questo modo è stato possibile ricostruire quella che viene definito nello studio “una pratica ricorrente di respingimenti, una nuova modalità di soccorso delegato ai privati” che verrebbe attuato quando le motovedette della guardia costiera libica, come avvenne nel caso del 7 novembre 2018, sono impegnate in altri interventi.Il viceministro Buffagni: “Sfido Salvini e la Meloni a fare il test anti-droga”