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Respingimenti in Libia, l’Italia denunciata: “C’è una strategia precisa e illegale”

I respingimenti dei migranti in Libia sono al centro di una denuncia all’Italia di fronte al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite. Un’azione formale che è stata avviata dal Global Legal Action Network (Glan), organizzazione di avvocati, accademici e giornalisti investigativi, per conto di un sud-sudanese che era stato riportato con la forza, insieme ad altri migranti, in un porto libico dopo essere stato salvato da un mercantile nel Mediterraneo. Si tratta di una prima assoluta, fa sapere in una nota il Glan.

Il Comitato per i diritti umani dell’Onu, composto da 18 esperti e che riferisce all’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, può tuttavia esprimere solo opinioni non vincolanti per gli Stati. Nel mirino le operazioni che hanno riguardato la nave Nivin e le 93 persone che vi erano state caricate a bordo: segnalati prima da un aereo di Eunavformed, poi dal centralino Alarmphone, i migranti erano stati fatti salire sul mercantile Nivin con l’inganno e sbarcati con la forza a Misurata dall’esercito libico dopo essere rimasti per dieci giorni asserragliati sul ponte del mercantile. Picchiati, erano stati poi rinchiusi di nuovo nei centri di detenzione in un paese in guerra.Un respingimento di massa illegittimo, contrario al diritto internazionale, che sarebbe stato dunque coordinato dall’Italia secondo una strategia di salvataggio delegato ai privati per applicare il controllo delle frontiere. Un “modello di pratica” che – secondo un rapporto redatto da Charles Heller di Forensic Oceanography, ramo della Forensic Architecture Agency basata alla Goldsmiths University of London, l’Italia e l’Europa avrebbero applicato ben 13 volte nell’ultimo anno, in coincidenza con la politica italiana dei porti chiusi.Alcune delle persone riportate in Libia sono state rintracciate nei centri di detenzione e le loro testimonianze sono state raccolte. In questo modo è stato possibile ricostruire quella che viene definito nello studio “una pratica ricorrente di respingimenti, una nuova modalità di soccorso delegato ai privati” che verrebbe attuato quando le motovedette della guardia costiera libica, come avvenne nel caso del 7 novembre 2018, sono impegnate in altri interventi.

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