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Così Salvini ha perso l’Italia e la destra: il declino del leader populista-sovranista

Nel giro di nemmeno un anno è cambiato tutti. Salvini sembrava il padre padrone d’Italia e del centrodestra. Ora crolla nei sondaggi, si ripete come un disco rotto, e nella coalizione si è fatto fare le scarpe (come si suol dire) da Giorgia Meloni. A tratteggiare questo declino, ci ha pensato Alessandro De Angelis sull’HuffingtonPost, dove si legge: “È la fine del centrodestra dei ‘pieni poteri’ e del ‘citofono’, simbolo della caccia all’uomo che risultò fatale per Salvini alle elezioni dell’Emilia-Romagna: l’idea di un uomo solo al comando, in grado di imporre agli altri qualunque candidato perché in fondo si vota per lui, insomma, il plebiscito populista, sognando la spallata al governo. Ecco, l’accordo raggiunto dal centrodestra per l’election day di settembre chiude questa fase”.

E segna un altro tratto del declino di Salvini, perché, “anche in caso di vittoria del centrodestra – scrive De Angelis – non sarebbe una ‘sua’ vittoria, ma al massimo dei suoi alleati e dunque ‘anche sua’. Insomma, è cambiato lo schema. Anche con la fantasia più fervida è complicato immaginare il leader della Lega impegnato, con lo stessa passione profusa al Pilastro, in una campagna elettorale al fianco di Raffaele Fitto in Puglia o di Stefano Caldoro in Campania, candidati che non voleva ma che, alla fine, ha dovuto accettare, altro segno che i rapporti di forza sono cambiati”.

Con un occhio agli equilibri interni – osserva De Angeli – “questo assetto di candidature è una vittoria di Giorgia Meloni. La questione più di fondo, che non riguarda il potere interno, però è altra. I nomi certificano un gigantesco problema di classe dirigente di Salvini al Sud, che è mancato lì dove la Lega sovranista e nazionale aveva scommesso. In Calabria non ha sfondato, anzi perse dieci punti rispetto alle Europee, per Roma non c’è una sola idea, mentre il mondo che conta – le imprese, le professioni, il mondo del civismo – già punta sul Pd dopo gli anni del disastro Raggi. Quello che emerge è il limite dello schema populista e del ‘partito del leader’, che prescinde dal tema della selezione e della costruzione della classe dirigente”.

Più volte in questi anni il Sud, il cui voto è diventato volatile dopo la fine della grande spesa pubblica e, con essa, di una rete di consenso organizzato, è stato anticipatore di fenomeni e linee di tendenza nazionali. “Nel Sud – conclude De Angelis – partì e poi declinò il renzismo, nel Sud iniziò prima l’onda e poi la risacca dei Cinque stelle, nel Sud, dopo la valanga alle europee e alle amministrative dello scorso anno, sembra già essersi arrestata l’espansione leghista, intesa come plebiscito. Forse sta anche qui la ragione di queste candidature, nel venir meno di una certa forza d’urto. Se uno non ha candidati forti, non ha neanche la forza di imporli”.

 

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