Un cambio di rotta che a molti non è parso casuale, quello di un Matteo Salvini fin qui sempre battagliero e ora dai toni molto, molto più moderati. Pronto ad ammettere, ad esempio, le innegabili divergenze sulla Tav con l’universo pentastellato. Ma liquidando il tutto con un banale “Non dipende solo da me”. Come dire: ci proveremo, ma non è certo questione di vita e di morte. Un cambiamento coinciso con l’avvicinarsi della sentenza sulla richiesta di un’autorizzazione a procedere nei suoi confronti da parte del tribunale dei ministri.
Salvini, al netto della spavalderia delle prime ore, teme una condanna in primo grado per sequestro aggravato di persona. Una sentenza che diventerebbe uno stop alla sua fin qui scintillante carriera politica, impedendogli di rimanere in carica. In vista della quale il leghista teme un possibile voto favorevole del Movimento, da sempre contrario a negare autorizzazioni in situazioni analoghe.
Da qui l’improvvisa metamorfosi di un Salvini passato in pochi giorni poliziotto cattivo a buono: i Cinque Stelle sbraitano feroci sulla Tav, lui scrolla le spalle e si finge indifferente di fronte a un tema che, invece, riguarda molto da vicino quel nord Italia che gli è assai caro. In agenda il Capitano guarda piuttosto ad Abruzzo e Sardegna, elezioni dove sente odore di vittoria, così da poter riaprire il vecchio, classico scontro tra il leader amato dal popolo e una giustizia che trama per farlo fuori.“Basta strumentalizzazioni”. Salvini cambia ancora “divisa”, ma stavolta per lui non finisce bene