Matteo Salvini alle corde, privato anche della sua arma preferita, quella politica dei porti chiusi sbandierata a ogni occasione buona. E ora costretto dai Cinque Stelle a ingoiare lo sbarco di 136 migranti tra Lampedusa e Augusta. Schiuma rabbia, il leader della Lega. Reagisce con violenza, chiedendo il sequestro della nave Ong Mare Jonio e attaccando Conte e il ministro della difesa Trenta: “Sui rimpatri serve un salto di qualità, non posso fare tutto io”. Poi, un decreto per espropriare il titolare delle Infrastrutture Toninelli delle sue competenze. Della serie, “il mare è mio e lo gestisco io”.
E ancora: “Ci aspettiamo che il Quirinale intervenga. Perché il decreto contiene evidenti elementi di incostituzionalità, non si possono scippare così le competenze di un altro ministero. Roba da Ventennio. E perché non si è mai visto un decreto annunciato su Facebook, senza alcuna istruttoria collegiale. Qui è in gioco la credibilità delle istituzioni”.
Una vera e propria guerra innescata da Di Maio, stanco di dover sempre abbozzare di fronte al collega di governo. E così è partita la controffensiva globale, puntando al cuore della politica salviniana: l’immigrazione. Con l’aiuto di Conte, che al vertice europeo in Romania ha ottenuto una “redistribuzione preventiva” di alcuni migranti in Francia, Malta, Lussemburgo, Germania. Dimostrando così che “senza minacciare il mondo, siamo riusciti a salvare la vita a quelle persone e a fare in modo che a occuparsene fosse l’Europa”. Parole di Di Maio che suonano come un discorso di vittoria dopo la battaglia. Siri è fuori dal governo: Conte si impone e lo revoca dall’incarico