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Poche chiusure e molti meno morti dell’Italia: la Svezia e la gestione del Covid

Il caso Svezia è emblematico, e oggi a raccontarlo sono, ad esempio, sia Libero che Repubblica. Meno chiusure, una strategia basata sulla “fiducia” e meno morti dell’Italia. Inizialmente si additava la Svezia di follia per la gestione della crisi sanitaria. Peccato, però, che i morti Covid, in media, al giorno sono attualmente in Svezia 15. In Italia 430. La popolazione della Svezia è di 10,3 milioni, per cui equivale a circa 85 morti in Italia, cioè un quinto dei morti. Mettere in fila i dati aiuta a capire il fenomeno. E a farci arrabbiare ancora di più, se pensiamo a quanto abbiamo perso sia in termini di vite umane che in termini di socialità e economia. (Continua a leggere dopo la foto)

Su Libero Paolo Becchi e Giovanni Zibordi spiegano: “Dato che è passato un anno e la differenza di mortalità è sempre peggio per l’Italia, se la si confronta con la Svezia, è evidente che i dati indicano che ha ragione la Svezia a lasciare tutto aperto, in modo che la popolazione si immunizzi naturalmente, come è sempre accaduto finora con i virus respiratori. Ma i “casi”? Ad esempio, ieri i tamponi positivi in Svezia erano 8mila e in Italia 23mila, per cui in proporzione della popolazione hanno in Svezia più “casi” di tamponi positivi di noi. Ma i morti, come abbiamo detto, sono molto di meno. I dati che contano sono i decessi, non i tamponi. In Svezia hanno scelto di lasciar circolare il virus per cui per loro i “contagi” o tamponi positivi non costituiscono il problema e non determinano la politica del governo. Questo è logico”. (Continua a leggere dopo la foto)

I “contagi” sono una estrapolazione statistica basata su criteri di calcolo su cui può dibattere e hanno rilevanza solo se sono correlati con dei morti in eccesso della norma. “I morti invece sono il dato certo e l’unica cosa che conta peri cittadini. Tutti siamo stati contagiati dai virus influenzali soliti e se si facessero dei tamponi per rilevarli avremmo avuto milioni di “casi”, ma dato che i morti per le polmoniti influenzali oscillano tra 8 e 30 mila l’anno non ci facciamo molto caso, perché ci sono altri 600mila morti e poi tanti altri problemi di salute. In Svezia hanno adottato in sostanza lo stesso approccio. Hanno raccomandato alla popolazione più anziana e con problemi di salute di ridurre i contatti, ma hanno puntato al fatto che il resto degli adulti e giovani si immunizzassero naturalmente”. (Continua a leggere dopo la foto)

E su Repubblica Fredrik Sjoberg racconta: “L’unica misura efficace, ci hanno detto, è il distanziamento Le mascherine possono trasmettere un’illusoria sicurezza. Un anno fa, il mondo aveva gli occhi puntati sulla Svezia, che aveva optato per la strategia di non chiudere la società, preferendo esortare i cittadini a prestare attenzione. Lavatevi le mani, mantenete le distanze, eccetera. E anche se è troppo presto per valutare le conseguenze della pandemia, è comunque possibile dire qualcosa su quello che è successo da quando i grigi burocrati del Ministero delle salute sono diventati o eroi del popolo o bersagli d’odio. Scuole e asili rimangono aperti, così come negozi, bar e ristoranti, ma molto è cambiato. Durante la seconda ondata, hanno anche iniziato a racco-mandare di usare la mascherina nei posti troppo affollati. Badate bene: è una raccomandazione. L’unica misura di comprovata efficacia, ci hanno detto, è il distanziamento sociale”. (Continua a leggere dopo la foto)

Continua Sjoberg: “Sono state introdotte ulteriori restrizioni; ma i cambiamenti sono avvenuti per gradi, non sotto forma di drastiche chiusure e divieti di uscire come in altri paesi. Per strada e nelle piazze, la folla è solo un po’ più rada del solito. Eppure siamo stati colpiti duramente, soprattutto in confronto ai nostri vicini nordici. La mortalità è stata alta fin da subito, specialmente nelle residenze per anziani e nei sobborghi densamente popolati delle principali città. È troppo presto per analizzare i dati, ma diversi indizi lasciano supporre che la principale causa non sia stata il nostro atteggiamento di maggior apertura, quanto fattori circostanziali come le abitudini vacanziere, la struttura demografica, la pianificazione urbana e così via”.

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