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Trump vs magistrati federali: la battaglia continua

Prosegue il tenzone in armatura da guerra tra i potenti magistrati statunitensi ed il presidente Donald Trump: battaglie di proposte bocciate e di provvedimenti bloccati, uno scontro tra l’idea e la legge, tra la volontà e la dottrina, tra la missione ed il credo.

Dal primo giorno d’insediamento del Tycoon alla Casa bianca, molti giudici federali, già apertamente schierati contro la sua elezione, hanno cercato di ostacolare i decreti del neo-presidente.

Secondo molti magistrati federali c’è una distinzione netta tra lo spazio di manovra di un presidente che governa e l’applicazione della legge americana, certe procedure, principi, articoli, non possono essere violati, pena: la deriva della democrazia.

James Robart, magistrato federale dello stato di Washington, fu il primo a sfidare Donald Trump, esattamente pochi giorni dopo l’insediamento alla Casa Bianca.

27 gennaio, Florida, il presidente atterra col suo jet privato ed immediatamente apprende che la sua decisione di bloccare i visti per i cittadini di 7 paesi mediorientali, è stata bocciata, congelata dai magistrati federali che dimostrano, da subito, che il potere di Trump non sarà certo illimitato.

I giudici della Virginia, del Massachusetts e di New York si uniscono alla truppa capitanata da Washington, emettendo provvedimenti contro il bando ai visti proposto dal Tycoon.

Da subito, il presidente si scaglia contro Robart, usando la sua arma letale preferita: il tweet

I giudici insorti avevano denunciato il decreto come anticostituzionale e discriminante, nonché un grave danno per le centinaia di migliaia di residenti negli Stati Uniti, provenienti dai 7 paesi in questione.

Donald Trump attacca la magistratura affermando che sia ridicolo dover sottostare alle opinioni di un semplice giudice federale, quando la volontà del popolo americano ha parlato chiaro, eleggendo il suo presidente. Definisce molto grave il fatto che una Nazione non possa decidere chi può andare e venire al suo interno.

Una polemica che ha spezzato l’opinione pubblica, da una parte i sostenitori del nuovo inquilino della Casa Bianca, dall’altra, coloro che si sono schierati dalla parte di un uomo retto, profondo conoscitore della legge a stelle e strisce.

James Robart, settantenne di Seattle, fu nominato giudice federale da George W. Bush, si è dedicato una vita al volontariato, finanziatore della Seattle Children’s Home, associazione che si prende cura dei bambini con disagi mentali, prendendo parte ad altre numerose iniziative di assistenza ai più deboli.

Due facce opposte di un paese che, nel suo profilo, ha sempre avuto queste due distinte anime: una spregiudicata e volta al sogno di una vita perfetta, l’altra dedita ai più deboli ed agli sfortunati.

Due colossi che si scontrano a colpi di atti e decreti.

Ma Robart non è stato sul solo a lanciare il guanto di sfida al presidentissimo: Derrick Watson, magistrato federale delle Hawaii, si è opposto anche alla versione seguente, quella un po’ più leggera, del bando ai visti di Trump.

A marzo Derrick Watson affermò che il decreto del presidente danneggiava fortemente il business del turismo delle isole Hawaiane, bloccando ulteriormente il provvedimento.

Anche in questa occasione Donald Trump non la prende affatto bene: definisce l’azione del giudice un vero e proprio ‘abuso di potere’, atto a far sembrare debole l’amministrazione americana, a ritrarla come semplice ‘schiava’ della magistratura.

Il ‘Travel Ban’ proposto da Trump ed applicato nell’immediato, prima di essere bloccato e molto ridimensionato dai giudici, aveva già creato grande scompiglio negli aeroporti del Paese e provocato pericolose proteste di massa.

Adesso siamo di fronte ad un nuovo episodio simile: il giudice federale di San Francisco ha bloccato la decisione del presidente di tagliare i fondi alle cosiddette ‘città santuario’, ovvero le città che proteggono gli immigrati illegali.

Scontri d’ideologie e di ideali, è davvero complicato riuscire ad entrare nel meccanismo, per potersi schierare.

I magistrati chiedono a Trump di agire e portare avanti il suo operato, rispettando le leggi americane, il presidente, dal canto suo, vuole mettere in atto i provvedimenti per seguire la linea promessa ai suoi elettori.

Si tratta di uno scontro appena iniziato e che dovrà durare ancora molti anni: secondo voi i magistrati che ostacolano questi provvedimenti operano nell’interesse della legge, oppure in quello degli avversari di Donald Trump?