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Una app per difendersi dal revenge porn

Crescono i reati sulla rete, crescono gli strumenti per proteggere i propri dati e la propria intimità. Ecco dunque Rumuki, una app che promette di proteggerci dal revenge porn, ovvero la diffusione, senza consenso e per vendetta, di video particolarmente intimi. Si tratta di una delle pratiche di online shaming, o gogna mediatica che dir si voglia, su cui già diversi paesi hanno deciso di intervenire con norme e interventi legislativi apposti. Anche l’Unione Europea ha pensato a un regolamento sulla protezione dei dati personali. In attesa che anche il nostro paese si adegui con una legge ad hoc, si può sempre ricorrere alla tecnologia per non essere vittime del revenge porn.

Revenge porn, la app per difendersi

Revenge porn

Così come spiegato sul sito della app, disponibile al momento solo per IOS, i video piccanti vengono criptati con due diverse chiavi su due telefoni diversi. Nessuno può vedere i video così salvati senza il consenso del proprietario dell’altro dispositivo. In questo modo, i contenuti sono al sicuro anche in caso di furto o accesso casuale di terzi. Nel momento in cui uno dei due possessori cancella il video o la chiave d’accesso, automaticamente il video viene cancellato anche dall’altro telefono. Questa è la chiave, è il caso di dire, che garantisce la più alta protezione contro il revenge porn. I contenuti non sono salvati su server ma solo sui dispositivi e, garantisce Rumuki, non vengono inviati su internet su altri service. Allo stesso modo, i contenuti non vengono tracciati, né utilizzati per campagne di marketing o simili. La registrazione è anonima e non viene collegata ad altra informazione sensibile. Tutti questi aspetti, sostengono gli sviluppatori di Rumuki, permettono di proteggere gli utenti non solo dal revenge porn, ovvero da un’azione volontaria di vendetta a sfondo erotico, ma anche dalla malaugurata ipotesi che i contenuti personali possano accidentalmente finire in mano di terzi e di qui essere poi diffusi indiscriminatamente in rete.

Non solo revenge porn

Secondo i dati forniti dall’Ansa, il 17% di coloro che praticano sexting, ovvero lo scambio online di materiale piccante, è stato vittima o è stato minacciato di revenge porn, di norma, dopo una storia finita, per vendetta, per rabbia. Ma il revenge porn è solo una delle pubbliche gogne online di cui si può finire vittima. È già caso di studio il doxing, cioè la raccolta e la diffusione online di informazioni personali e private, a partire dai dati sensibili. Ci sono poi le recensioni negative, costruite ad arte o comunque manipolate in termini di quantità. I personaggi pubblici possono poi essere vittime della cosiddetta tecnica del ‘name and shame’, cioè della diffusione di informazioni in merito al mancato rispetto di norme su tasse, rifiuti, piccoli o grandi reati. In tutti questi casi, la gogna pubblica è associata a fenomeni di denigrazione e a reati quali ricatto, estorsione, minaccia.