Una task force per portare avanti una missione difficile: salvare la vita a Mattia, 38 anni, colpito dal coronavirus come altre centinaia di persone nel Lodigiano. Era stato il cosiddetto “paziente uno” trovato a Codogno, sollevando involontariamente il velo sul focolaio principale di epidemia in Italia. Al suo fianco una squadra che tenta giorno e notte di fare il possibile per assisterlo, guidata dal 53 enne Raffaele Bruno, che alle pagine di Repubblica ha spiegato: “So di non fare un’affermazione scientifica, ma la verità è che per sconfiggere un nemico nuovo e sconosciuto abbiamo bisogno anche di una somma insondabile di coincidenze positive. Detto in due parole, augurate a noi medici e agli scienziati buona fortuna”.
La vita di Mattia ha un valore speciale: guarirlo darebbe infatti una grande iniezione di fiducia non solo agli scienziati al lavoro ogni giorno per contrastare centinaia di casi come il suo, ma avrebbe anche importanti ripercussioni economiche, psicologiche e politiche. “Qui – ha spiegato Baldanti – è in corso il più gigantesco sforzo messo in campo dall’Occidente contro questa infezione nuova. Ancora non la conosciamo e lei non conosce noi. Da qui nascono potenzialità della diffusione e potenza della paura. L’obbiettivo allora è raccogliere il maggior numero di dati accertabili e certificati, mettendoli a disposizione di tutto il mondo”.
All’ospedale Sacco di Milano è ricoverata la moglie di Mattia, Valentina, che tra un mese partorirà il loro primo figlio. In cura anche i genitori di lui. Salvare il 38 enne avrebbe però un significato speciale: evitare la prima morte di una persona più giovane, sportiva e in salute al di fuori di Cina e Corea del Sud. Al momento i medici stanno testando “un cocktail di farmaci usati per l’Hiv, per l’epatite C e per l’ebola”. Una sfida difficilissima che nessuno vuole però perdere.“Mussolini? Aveva previsto le epidemie dei cinesi”. Bufera sul calciatore