Difficile, quasi impossibile immaginarlo fino a pochi mesi fa. Quando gli indici di gradimento di Matteo Salvini veleggiavano alti verso primati sempre più granitici e il centrodestra si stagliava all’orizzonte come prossima coalizione politica pronta a guidare il Paese. Oggi, invece, il mondo si è capovolto: la Lega e i suoi presunti alleati sono tutti all’opposizione. E il fronte, col passare delle settimane, è meno compatto che mai.
Manca persino l’abbozzo di un’intesa comune sull’opposizione da fare al neonato esecutivo del Conte bis. E gli stessi sondaggi, un tempo rosei, stanno voltando le spalle al Carroccio. Non a caso, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti lamentava con la consueta aria un po’ depressa: “Ormai l’autonomia ce la scordiamo”. Una cosa che in Veneto e Lombardia non viene presa benissimo. I governatori Zaia e Fontana imputano a Salvini il fatto di aver concesso troppo al meridionalismo durante l’alleanza di governo con Di Maio e di essersi concentrato sulla Lega nazionale invece che sulle ragioni del nord.
Il timore che serpeggia tra i quadri leghisti è che l’elettorato meno militante e più riflessivo diffidi, dopo il rocambolesco esito della crisi di governo, della capacità di Salvini di mettere a sistema il consenso. Per uscire dall’angolo Salvini ha convocato per ottobre la piazza a Roma da cui risuoneranno le accuse contro il “governo ribaltonista”. Lo stesso schema che ha scelto di seguire Giorgia Meloni, la quale tuttavia contesta a Salvini la dilazione della mobilitazione popolare.Evidente, comunque, la polemica sottotraccia tra la Lega e Fratelli d’Italia che rivela lo stato di tensione esistente tra i due partiti. Non è meno smarrita la terza gamba del centrodestra: Forza Italia sembra oscillare tra la spinta all’opposizione e la tentazione di un sostegno esterno al nuovo governo. Gli azzurri non voteranno la fiducia, ma si mormora di una trentina di parlamentari già pronti a puntellare l’operazione Conte.
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