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Dalla strage di Capaci al piccolo Di Matteo nell’acido: torna libero il boss Brusca

“Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento”. Dopo 25 anni il boss mafioso Giovanni Brusca, fedelissimo del capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina, torna libero per “fine pena”. Era diventato testimone di giustizia e collaboratore dello Stato, ammettendo, tra l’altro, il suo ruolo nella strage di Capaci e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Come scrive L’Espresso, Brusca ha lascato il penitenziario di Rebibbia, a Roma, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna. Sarà sottoposto a controlli e protezione ed a quattro anni di libertà vigilata, come deciso dalla Corte d’Appello di Milano. (Continua a leggere dopo la foto)

La notizia ha trovato conferma in ambienti investigativi. Brusca è stato scarcerato per effetto della legge del 13 febbraio del 2001 grazie alla quale per lo Stato italiano ha finito di scontare la propria pena detentiva. Avendo scelto di collaborare con la giustizia ha ottenuto gli sconti di pena previsti dalla legge. Arrestato da agenti della polizia di Stato il 20 maggio 1996 in una villetta vicino ad Agrigento, dove il boss era con il fratello Enzo e le rispettive mogli e figli, ha ottenuto la “patente” di pentito nel marzo del 2000 dopo lunghe polemiche. (Continua a leggere dopo la foto)

Brusca negli anni ha ammesso di avere premuto il telecomando di Capaci, ha confessato di avere dato ordine di “sbarazzarsi del cagnuleddu”, il ragazzino sequestrato il 23 novembre 1993 e assassinato il 12 gennaio proprio di quell’anno, il 1996. Era Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino. Tra coloro che strinsero la corda al collo del quindicenne, rapito all’età di 13 anni, ci fu anche Enzo Salvatore Brusca. Il fratello del boss di San Giuseppe Jato (Palermo) fu il primo a pentirsi, Giovanni gli andò appresso dopo qualche tempo. (Continua a leggere dopo la foto)

Brusca ha testimoniato al processo Andreotti e a quello di Dell’Utri, poi in quello Mannino fino alla Trattativa Stato-mafia. I fratelli Brusca accusarono il sette volte presidente del Consiglio Andreotti di collusioni con i boss, ma negarono di conoscere la storia del bacio con Totò Riina, vicenda raccontata dal suo acerrimo nemico, Balduccio Di Maggio, che Brusca avrebbe voluto uccidere e che a sua volta tornò in armi a San Giuseppe Jato per sterminare gli uomini del Verru (il porco, soprannome di Brusca, oltre che “scannacristiani”). (Continua a leggere dopo la foto)

Nella Trattativa Stato-mafia, Brusca ha parlato del “papello” di Totò Riina, indicando come “terminale” delle richieste che il superboss avrebbe cercato di imporre allo Stato l’ex ministro dell’Interno ed ex presidente del Senato, Nicola Mancino. Unico imputato assolto nel processo sulla Trattativa, mai accusato tra l’altro di mafia o di concorso esterno ma solo di falsa testimonianza. E così, dopo una collaborazione più che ambigua con lo Stato, Brusca torna in libertà.

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