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Il caso Savoini è l’ennesima dimostrazione di come Salvini sia incompatibile col suo ruolo di ministro

A fare chiarezza sul caso Salvini-Savoini che sta tenendo banco in questi giorni, e che è molto più grave di quello che in tanti vogliono far sembrare, ci pensa Carlo Bonini con un’accurata analisi pubblicata su Repubblica. Scrive Bonini: “Il grottesco quanto insostenibile arrocco — ‘Savoini chi?’ — in cui Matteo Salvini ha scelto consapevolmente di chiudersi di fronte al fantasma del Metropol, fuggendo al confronto parlamentare e alle domande, testimonia della disperazione dell’uomo, della sua paura”.

“Soprattutto, perché interpella il suo ruolo di ministro dell’Interno. Da tre giorni, la Rete, di cui pure Salvini ha dimostrato di conoscere la micidiale capacità di strumento del consenso, ha sepolto il suo tentativo di liquidare come un Carneade il nazista di Alassio che, per cinque anni, gli ha fatto da ambasciatore e badante a Mosca, sotto una valanga di evidenze che dimostrano il contrario. Foto. Comunicati. Post su Twitter e Facebook. Interviste”.

“Un affollato album di famiglia in cui Savoini, l’uomo che il ministro vorrebbe essersi imbucato a una riunione interministeriale a Mosca nel luglio 2018, è costantemente indicato, documentato, come il suo ‘official representative’, rappresentante ufficiale a Mosca (così lo definisce Salvini intervistato da International Affairs il 17/11/2014). Un uomo così ‘imbucato’ questo Savoini che, il 17 luglio del 2018, appena ventiquattro ore dopo quel meeting nel ministero russo dove avrebbe seduto a insaputa del ministro, twittava solenne alle 12 e 6 minuti, taggando l’interessato: ‘È stato per me un enorme piacere poter accompagnare il ministro Matteo Salvini nel corso della sua visita ufficiale a Mosca. Proprio nel giorno in cui a Helsinki Putin e Trump confermavano la nostra linea di dialogo'”.

“A Salvini non sfuggirà oggi e non sarà sfuggito allora che il linguaggio è importante. “Visita ufficiale”. “Nostra linea di dialogo”. Se era un imbucato, avrebbe dovuto dargli dell’imbroglione allora. A maggior ragione dovrebbe farlo oggi. Al contrario, il ministro dell’Interno tace. Come un ministro qualunque della seconda repubblica”.

“Preferisce passare per uno smemorato bontempone amante della vodka e ignaro di chi si porti dietro in un vertice internazionale piuttosto che provare a dare una ragionevole spiegazione del suo legame con ‘Savoini chi?’. Preferisce accartocciare la reputazione internazionale del Paese, la sua affidabilità nel sistema delle alleanze atlantiche ed europee. Forte della cinica consapevolezza che, nell’anomalia italiana, l’alleato a cinque stelle lo coprirà, e con lui il Premier”.

“In barba a qualsiasi standard proprio di in una democrazia parlamentare occidentale, dove un ministro che non sa chi si porta dietro a un vertice internazionale sarebbe messo rapidamente alla porta per manifesta incapacità. Salvini non è tuttavia uno sciocco. E se ha deciso consapevolmente di infilarsi in questo calvario è perché ragionevolmente la posta è altissima”.

“Perché ‘Savoini chi?’ non è evidentemente uomo che possa gettare a mare senza pagare un prezzo incalcolabile. Prova ne sia che il 7 giugno dello scorso anno, alla festa per la Giornata della Russia nell’ambasciata della Federazione a Roma, tra gli invitati che si aggiravano intorno al ministro non c’era solo Savoini, ma anche l’avvocato massone Gianluca Meranda, il ‘secondo uomo’ del Metropol”.

“Un’altra sfortunata coincidenza. Che per altro promette di non essere l’ultima. Se è vero che anche l’identità del terzo e ultimo italiano nell’hotel è un segreto con le ore contate. E – a quanto pare – di una qualche rilevanza politica”.

 

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