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Crisi economica post Covid: sono i giovani i grandi dimenticati dal Governo

Su 55 miliardi di spesa pubblica per la tenuta e la ripresa economica dell’Italia dalla crisi Covid, solo una manciata di milioni sono quindi destinati ai giovani. E’ quello che emerge dal testo del Decreto Rilancio pubblicato pochi giorni fa in Gazzetta Ufficiale. Il governo punta a proteggere i posti di lavoro già esistenti, di qui la cassa integrazione, il blocco dei licenziamenti, insomma la volontà di tenuta il più possibile dei livelli occupazionali, dovendo “sacrificare” le esigenze dei giovani che si devono immettere nel mondo del lavoro. La recessione in cui stiamo sprofondando per colpa del coronavirus rischia di essere la mazzata finale sulle aspirazioni di milioni di persone, che hanno avuto la sola sfortuna di diplomarsi o laurearsi all’inizio o nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, oppure della nuova crisi da “shock simmetrico di domanda e offerta”, la peggiore dal Dopoguerra. In due lustri esatti, gli attuali venti/trentenni hanno provato sulla propria pelle quanto fosse difficile trovare un lavoro (e quando ciò è accaduto, essere confermati a tempo indeterminato), e quanto sarà difficile conservare il proprio posto di lavoro, perché nei prossimi mesi, o forse più, moltissime aziende saranno costrette a ridurre gli organici, e non di poco. Una tripletta micidiale, che condanna i giovani a letteralmente buttare via gli anni potenzialmente più produttivi e proficui della propria vita.

Un Decreto Rilancio dunque, che a tutto mira tranne che alla sorte di chi muove i primi passi nel mondo “adulto”. Dei giovani in questi anni si è detto di tutto, che fossero choosy e bamboccioni, ma bisognerebbe soffermassi anche sul fatto che in difficoltà storiche come quelle che stanno attraversando oggi le generazioni Y e Z, forse non è poi così strano che con un lavoro precario ed incertezza economica, fare un passo azzardato come lasciare la casa di origine o metter su famiglia, possa mettere agitazione e sfiducia a questi giovani. La fascia di età in cui la povertà è più elevata, e per la quale l’alta disoccupazione (29%) è comunque un descrittore insufficiente, perché non conta il fenomeno degli sfiduciati e dei NEET, quelli che un lavoro non lo cercano e a studiare non ci pensano (più). Insomma, i giovani sono da sempre assenti dal discorso pubblico e politico, se non per qualche accorato appello in televisione o editoriale sui giornali.
Secondo un inchiesta su Repubblica, lo scenario più probabile è che, nel prossimo biennio, le assunzioni avranno il freno tirato, ma questo non vuol dire che si bloccheranno del tutto. L’auspicio è che il governo si mobiliti il prima possibile per incentivare l’occupazione giovanile, magari con sgravi contributivi e incentivi diretti alle aziende per le assunzioni di under 35, sostegno al lavoro stagionale, formazione di qualità gratuita, ovviamente in forma agile e a distanza, per ridurre lo “skill mismatch”. Risorse e piani, strategie e stanziamenti, ovviamente ben superiori alle poche centinaia di milioni di euro previsti dal Decreto Rilancio.

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